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SONETTO CXX
Quante dolcezze, Andrea, Dio ti scoverse,
Alor che, salutandola di lontano,
Adorasti il supplicio empio inumano
Ove al Padre il Figliuol per noi S’offerse.
Col santo foco Suo lo cor t’aperse,
E vi raccolse con la forte mano
Dentro l’alte virtù che ’l nostro insano
Voler manda di fuor vaghe e disperse,
Onde ne l’aspra croce il dolce e ’l chiaro
Del Ciel vedesti, e quella immortai vita
Che parve agli altri ciechi dura morte.
La tua fortezza celere e spedita
Vittoria elesse per vie dritte e corte
Che fanno il viver bello e ’l morir caro.
SONETTO CXXI
A la durezza di Tomaso offerse
Il buon Signor la piaga, e tai li diede
Ardenti rai ch’a vera ed umil fede
L’indurato suo cor tosto converse.
L’antica e nova legge li scoverse
In un momento, ond’ei si vide erede
Del Ciel, dicendo: «E’ mio ciò ch’Ei possedè
SI, è Quel mio che tanto ben m’aperse!».
Ond’Ei li disse, poi: «Maggior è il merto
Di creder l’invisibile per quella
Virtù che non ha in sé ragion umana».
Il Ciel fu a lui col bel costato aperto;
A noi la strada assai più corta e piana,
Per fede, di trovar l’orma Sua bella.