Pagina:Colonna - Rime, 1760.djvu/211

Da Wikisource.

SONETTO CLVI


Quando ’l Signor, ne l’orto al Padre volto,
   Pregò per lo mortai Suo chiaro velo,
   D’intorno al cor Gli corse un freddo gielo,
   Volgendo a’ cari amici il mesto volto,
E trovò ciascun d’essi esser sepolto
   Nel sonno, ch’ogni vero ardente zelo
   Dormiva in terra, e desto tutto in Cielo
   S’era al Suo danno e nostro ben raccolto;
Ond’allor per destar la pigra terra
   E quetar là su il Ciel riprese ardire,
   Com’uom ch’a grande ed alta impresa aspira,
E, intrando in mezzo la spietata guerra,
   Tolse agli amici in quel si bel morire
   Il grave sonno, ed al gran Padre l’ira.


SONETTO CLVII


Fermo al Ciel sempre col fedel pensiero
   L’uomo, qui peregrino, esser devria,
   S’a l’alta patria vuol per dritta via
   Col favor di là su correr leggiero,
Onde lo spirto, acceso al lume vero,
   Di quanto qui di buono opra o desia
   Renda grazie al gran Padre, e quanto invia
   Riceva lieto dal Suo giusto impero.
Alor la fede mostra in quella face
   Del divin Figlio la beata speme
   De l’infallibil Sue promesse eterne,
E. perché ancor con le promesse inseme
   La bontà, che le dona il cor, discerne,
   D’amor ardendo vive e lieta pace.