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SONETTO CLXXVI
Qual uom che, dentro afflitto e intorno avo
Di gravissimo peso, or tace, or geme,
Di se stesso non fida e d’altri teme
Perché già insino il respirar gli è tolto,
Tal lo spirto più umil, tutto rivolto
A quella di là su beata speme,
Mostra tremando il giusto duol, che ’l preme,
A Lui che in croce ogni suo nodo ha sciolto;
Ed indi poi, prendendo ardir, s’accende
Di tanta fede che, gridando, dice
Non con la lingua più ma sol col core:
«Abba Pater, deh, manda or quel favore
Che un fido petto qui, Tua mercé, rende
Nel tormento maggior via più felice!».
SONETTO CLXXVII
Se pura fede a l’alma, quasi aurora,
Discopre il Sol che la tien Seco unita,
Onde si sente in Lui chiara e gradita,
Benché ’l velo mortai la cinga ancora,
Quanto dolce le fia quell’ultim’ora
Che sarà prima a l’altra miglior vita,
Non già secura in sé, né punto ardita
In altri che in Colui che ’l Ciel onora,
La cui luce l’intrata in modo serra
A l’ombra ed al timor che dentro ha pace
Un ver fidel, bench’abbia intorno guerra;
Pur che s’adempia in lui l’alto verace
Voler di quel Signor che sol non erra
E morte e vita equalmente li piace.