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SONETTO CLXXXIV
Quando dal proprio lume e da l’ingrato
Secol vivo lontana allor ripiglio
Virtù d’alzar al Ciel la mente e ’l ciglio
E pregar sol per voi, spirto beato,
Dicendo: «Purga, alluma, ardi l’amato
Per nome mio ma Tuo per opre figlio,
Ricco del vero onor, candido giglio
Fra tutti i fior del verde eterno prato!
I più bei raggi e le più lucid’onde
Del chiaro Sol e de la grazia viva
Manda nel sempre suo fertil terreno,
Si che ’l soave odor, ch’ei dentro asconde,
Per l’acqua pura e ’l bel lume sereno
Senta del mondo la più lunga riva!».
SONETTO CLXXXV
Temo che ’l laccio, ond’io molt’anni presi
Tenni gli spirti, ordisca or la mia rima
Sol per usanza, e non per quella prima
Cagion d’averli in Dio volti ed accesi.
Temo che sian lacciuoli intorno tesi
Da colui ch’opra mal con sorda lima,
E mi faccia parer da falsa stima
Utili i giorni forse indarno spesi.
Di giovar poca ma di nocer molta
Ragion vi scorgo, ond’io prego ’l mio foco
Ch’entro in silenzio il petto abbracci ed arda.
Interrotto dal duol, dal pianger fioco,
Esser de’ il canto vèr Colui ch’ascolta
Dal Ciel, e al cor non a lo stil risguarda.