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SONETTO CXCII
Quant’è dolce l’amaro, alor che ’l prende
Per medicina l’alma e per futura
Salute, e, se a lei par troppo aspra cura,
Vien ch’ella, inferma ancor, non ben l’intende.
Mentr’è nel lume Tuo non guarda o attende
Altra luce minor, ma, lieta e pura,
Fissa in Te sol la mente, sol si cura
Quando in Te sol di Te solo s’accende,
Di Te solo, Signor, sol dolce sempre,
Il cui giogo soave e peso leve
Nel porto de l’amor per fede induce.
Giova dunque l’andar per varie tempre
A tanta pace, e passar qui per breve
Nebbia correndo a l’alta eterna luce.
SONETTO CXCIII
Dal fonte bel de l’infinito amore
Nacque l’altro di grazia, u’ l’alma vede
La sua salute ed indi arma di fede,
Di speme purga e di foco arde il core.
Da cotai fonti alor, dentro e di fore
Purgata, anzi nudrita, altro non chiede
Che gir per sempre ove sovente riede,
Al natio nido suo, colma d’ardore.
Per breve stilla di quel largo mare
Si gusta come in breve ne fia tolta,
Anzi pur sazia, questa ardente sete
Di veder poi là su, pura, disciolta,
La prima vena di quest’acque chiare
Che fan le voglie eternamente liete.