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Pagina:Colonna - Rime, 1760.djvu/39

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Vittoria Colonna xxxv

onestissima non fosse; egli è costume tanto più da commendarsi, quanto è meno seguito da’ Poeti, perciò il sopra mentovato Giammatteo Toscano prese argomento di lodarla spezialmente da questa sua virtù, e di biasimare il brutto vizio, che a questa si oppone1.

Oltre all’esser soverchio, sarebbe ancora troppo lungo l’annoverare le molte lodi, colle quali da parecchi Scrittori venne encomiata la nostra Eroina, così per la sua erudizione, dottrina, ed ingegnosa maniera di poetare, che per l’integrità de’ suoi costumi, e meravigliosa fermezza nell’amor del marito; perciocchè, siccome afferma Francesco Agostino della Chiesa nel suo Teatro delle Donne letterate, non v’è Scrittor Italiano di quel tempo, che in prosa o in verso non l’abbia celebrata e commendata sopra tutto il sesso donnesco2, intorno a che è spezialmente degno di esser letto ciò, che con

  1. Dopo le lodi di Saffo e di Corinna passa a quelle di Vittoria così:

    Huic ego te obiiciam faustum Victoria nomen:
    Quae non prisca tuis tantum muliebria plectris
    Plectra silere jubes, Romanaque Graecaque Tuscis:
    Sed (tua quae virtus propria est) lascivia versus
    Commaculat dum nulla tuos…
    Tantum sola decus casto fers carmine, quantum
    Dedecus obsceno Sapphoque, Corinnaque versu.

    Pepl. Ital. Lib. 4. cap. 153.

  2. Pag. 296. ediz. cit.