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SONETTO II
Per cagion d’un profondo alto pensiero
Scorgo il mio vago oggetto ognor presente,
Scolpito il tiene il cor, vivo la mente,
Tal che l’occhio il vedea quasi men vero.
Lo spirto acceso poi, veloce, altiero
Con la scorta gentil del raggio ardente
Sciolto dal mondo al Ciel vola sovente,
D’ogni cura mortal scarco e leggiero.
Quel colpo, che troncò lo stame degno,
Ch’ attorcea insieme l’una e l’altra vita,
In lui l’oprar, in me gli affetti estinse.
Fu al desir primo; e fia l’ultimo segno
La bella luce al sommo Sol gradita,
Che sovra i sensi la ragion sospinse.
SONETTO III
Quella superba insegna, e quell’ ardire,
Che per la tua vittoriosa mano
Fece ogni sforzo, ogni disegno vano,
Mostra il vigor, sfoga gli sdegni e l’ ire.
Spense l’ ardor del già folle desire
L’ invitto tuo valor via più che umano;
Che già chiuse a cittadi, a monti, a piano
I passi, con suo grave aspro martire.
Non fortuna d’ altrui, non propria stella:
Virtù, celerità, forza, ed ingegno
Diero all’ imprese tue felice fine.
La chiara fama tua, la gloria bella
Nel Ciel eterno ti dà il merto degno,
Ch’ uman tesor non paga opre divine.