Pagina:Colonna - Rime, 1760.djvu/58

Da Wikisource.

SONETTO X


A che miseria Amor mio stato induce,
   Che ’l proprio Sol ancor tenebre rende?
   Non pria il veggio apparir, che mi raccende
   Desio di riveder mia vaga luce.
Quanto più gemma, ed or tra noi riluce,
   L’inferma vista mia più se n’offende;
   E se dolce armonia l’orecchia intende,
   Pianti e sospiri al fin nel cor produce.
S’io verde prato scorgo, trema l’alma
   Priva di speme: e se fior varii miro,
   Si rinverde il desio del mio bel frutto,
Che Morte svelse, ed a lui grave salma
   Tolse in un breve e placido sospiro,
   Coprendo il mondo, e me d’ eterno lutto.


SONETTO XI


MEntre scaldò ’l mio Sol nostro emispero,
   Qual occhio da soverchia luce offeso,
   E qual da cieca invidia tinto e preso,
   Non scorser del gran lume il raggio intero.
Or c’ ha lasciato il mondo freddo e nero,
   Di bella voglia ogn’ alto spirto acceso
   L’ adora, e molti han con lor danno inteso,
   Che ’l proprio error non li scoperse il vero
Valor, a cui la Morte fama aggiunge;
   E se ’l tempo vorace i nomi asconde,
   Sua gloria a questa legge non si strinse.
L’ opre chiare d’ altrui non ben seconde
   Seguon le sue tant’ alto, e sì da lunge
   Lo scorge quei, che più l’ ardir sospinse.