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SONETTO LVIII
D’ogni sua gloria fu largo al mio sole
Il Ciel, che di virtù l’ animo cinse,
Il volto di color vaghi dipinse,
E diede alto concento alle parole.
Di qui nacque il desio, com’ Amor vuole,
Che dal veder, e dall’ udir costrinse
La mente, in cui qual lume non estinse,
Ma serba ancor le forme intere e sole.
Gli altri semplici sensi, che non fanno
Concordia, ove beltà nasce, ed il vero
Foco divin di gentil alma accende;
Non mi fur mai cagion di gioja, o danno,
Che ’l chiaro foco mio fa ’l cor sì altero,
Ch’ ogni basso pensier sempre l’ offende.
SONETTO LIX
Nodriva il cor d’ una speranza viva,
Fondata, e colta in sì nobil terreno,
Che ’l frutto producea giocondo e ameno;
Morte la svelse allor, ch’ ella fioriva.
Giunsero insieme i bei pensieri a riva,
Mutossi in notte oscura il dì sereno,
Il nettar dolce in amaro veneno,
Sol di tal ben non è la mente priva.
Ond’ io dintorno, Amor, sovente avvampo,
Parmi udir l’ alto suon delle parole
Giunger concento all’ armonia celeste.
E vedo il folgorar del chiaro lampo,
Che dentro al mio pensier avanza il Sole,
Che fia vederlo fuor d’ umana veste?