Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/135

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loro ne’ quali non si trova nessuno bene, e la giustizia poco si cura di loro in quanto li punisce leggiermente; cioè nell’entrata dell’inferno, e non li pone sotto certa regola di giustizia, se non sotto l’universale dannazione in quanto li pone nell’inferno; ma intendendo allegoricamente di quei del mondo, è vera la sentenzia, intendendo della giustizia, e misericordia umana: imperò che li uomini misericordiosi non reputano questi così fatti degni di misericordia, nè li giusti li sanno condannare, ma passanli come cosa vile da non curarsene, e secondo questo intelletto è vera la sentenzia dell’autore: chè secondo il primo conviene intendersi contra la verità della santa Teologia, secondo parlar fittivo come è sposto di sopra. Non ragionar di lor; ma guarda e passa; ammonisce Virgilio Dante che di lor non ragioni; ma guardi la lor miseria e passi oltre, e questa dice per confermare quel che à detto di sopra, che il mondo non lascia essere fama di loro: et allegoricamente la ragione ammonisce la sensualità che di sì fatti non cerchi di sapere; ma lascili come vili, guardando la loro miseria, e partendosi da essa.

C. III - v. 52-69. In questi sei ternari l’autore pone altre pene che sostengono quelli miseri de’ quali è stato detto di sopra, et occultamente tocca la storia d’alcuno che cadde in simile peccato. Dice: Poi che Virgilio m’ammonì ch’io non ragionassi di loro; ma guardassi e passassi oltre, Et io; cioè Dante, che riguardai; in quel luogo, vidi una insegna. Finge l’autore che costoro andassono in circuito, secondo il giro dell’inferno, dietro a una bandiera, Che girando correva tanto ratta, Che d’ogni posa mi pareva indegna; cioè non mi pareva che mai si dovesse posare: E dietro lei venia sì lunga tratta; cioè dietro all’insegna, Di gente, ch’io non averei creduto, Che morte tanta n’avesse disfatta; cioè sì grande traccia era dietro alla insegna di genti, ch’io non avrei creduto che mai tanti ne fossono morti, e per questo pare che il numero di questi miseri fosse grandissimo. Questa pare conveniente pena a costoro, che mai non ànno voluto fare alcuna cosa che sieno posti a sempre correre in giro, a ciò che non abbino mai fine, e mai non si posino coloro che sempre si sono posati e sono vivuti pur per mangiare, e bere, e dormire come le bestie, e corrono dietro all’insegna della carnalità, che sono stati nel mondo seguitatori pur del corpo, et a lui ànno sottoposto l’animo, e veramente di costoro è stato grandissimo numero, et è ancora nel mondo. Poscia ch’io; cioè Dante, n’ebbi alcun riconosciuto; di questi cattivi, Vidi, e conobbi l’ombra di colui, Che fece per viltà il gran rifiuto. Notantemente l’autore non ne nomina alcuno d’essi: però che li reputa indegni di fama; ma li esponitori dicono che costui che conobbe Dante che lo descrive che fece il gran rifiuto; cioè che rifiutò gran cosa per viltà d’animo, fu papa Cele-