Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/156

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112 i n f e r n o

103Così n’andamo infino alla lumera,1
     Parlando cose che il tacere è bello,
     Sì com’era il parlar colà dov’era.
106Venimo al piè d’un nobile castello
     Sette volte cerchiato d’alte mura,
     Difeso intorno d’un bel fiumicello.
109Questo passammo come terra dura:
     Per sette porte entrai con questi savi:
     Giugnemo in prato di fresca verdura.
112Genti v’eran con occhi tardi e gravi,2
     Di grande autorità ne’ lor sembianti:
     Parlavan rado con voci soavi.
115Traemoci così dall’un de’ canti,
     In loco aperto, luminoso et alto,
     Sì che veder si potean tutti quanti.
118Colà diritto sopra il verde smalto
     Mi fur mostrati li spiriti magni,
     Che di vederli in me stesso n’esalto.
121Io vidi Elettra con molti compagni,
     Tra’ quai conobbi Ettore et Enea,
     Cesare armato con li occhi grifagni.
124Vidi Camilla e la Pentesilea:
     Dall’altra parte vidi il re Latino,
     Che con Lavina sua figlia sedea.
127Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
     Lucrezia, Giulia, Marzia, e Corniglia,
     E solo in parte vidi il Saladino.
130Poi che innalzai un poco più le ciglia,
     Vidi il maestro di color che sanno,
     Seder tra filosofica famiglia.

  1. v.103. Andamo, venimo, giugnemo e simili sono cadenze primitive e regolari, che s’incontrano sovente nelle antiche scritture. E.
  2. v. 112.  C. M. Genti v’avea