Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/277

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la proda; cioè l’altra ripa, Ti si lasci veder; cioè innanzi che sia di là, tu sarai sazio; del tuo desiderio, Di tal disio; cioè desiderio, Converrà, che tu goda; cioè che n’abbi adempimento: la mente gode quand’è adempiuto lo suo desiderio.

C. VIII — v. 58-66. In questi tre ternari l’autor nostro finge come lo desiderio suo fu adempiuto, e manifesta chi era costui, e procede più oltre nel suo trattato. Dice adunque: Dopo ciò; che Virgilio detto avea, poco; cioè stando, vid’io; Dante, quello strazio Far di costui alle fangose genti; cioè fare di quello spirito del quale detto è di sopra, delli altri1 ch’erano insieme nel padule. E per questo allegoricamente dimostra l’autore che nel mondo l’uno iroso paga e punisce l’altro, come può esser manifesto a chi ben considera ciò. Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio; dice Dante che ancor al presente ne loda e ne ringrazia Idio2 della sua giustizia. Tutti gridavan; cioè quelle gente fangose: A Filippo Argenti. Qui manifesta l’autore chi fu questo spirito e dice che fu messer Filippo Argenti delli Adimari da Fiorenza, e fu uomo molto arrogante et iroso e diffamato del vizio dell’ira; e fu chiamato Argenti, perchè facea ferrare lo suo cavallo coi ferri d’ariento. E dice l’autore che li altri spiriti gridavano contra costui, e concordavansi3 a gittarli del loto, et attuffarlo, e sommergerlo nel palude. E il Fiorentino spirito bizzaro In sè medesmo, cioè il detto spirito imbizzarrito, e crucciato contro sè medesimo, si volgea4 coi denti. Questo finge l’autore, perchè, secondo la lettera, conveniente cosa è che lo iroso sostegna di quel che à fatto, e come è stato nocivo a sè medesimo nel mondo; così è ancora nell’altro mondo. Ma allegoricamente vuol dimostrare essere questo medesimo nel mondo, che l’uno iroso strazia l’altro, e perchè per rabbia lo iroso in sè medesimo si volge, e si morde, e si straccia. Quivi; cioè nella palude, il lasciamo; cioè Virgilio, et io Dante, che più non ne narro; e così pon fine a questa materia; Ma nell’orecchie; cioè mie, mi percosse un duolo. Ecco che l’autore passa della detta materia ad altra materia dicendo, che sentie dopo le dette cose uno duolo e lamento che li diè cagione di guardarsi innanzi, e però dice: Per ch’io avanti l’occhio intento sbarro; cioè apro per vedere quello che fosse cagione di quel duolo. E qui finisce la lezione prima. Seguita la seconda.

Lo buon Maestro ec. Questa è la seconda lezione del canto, et è la seconda parte principale, ove l’autore finge che pervennono alla città ch’elli chiama Dite. E dividesi questa parte in otto parti: im-

  1. C. M. dalli altri
  2. C. M. Idio. Li omini boni sempre lodano e ringraziano Idio della sua giustizia.
  3. Altrimenti - e concitavansi a gittarli
  4. Altrimenti - si volvea