Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/411

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festa per la condizione della sua città, dicendo che Fiorenza quando fu edificata fu fatta da’ Fiesolani, che uscirono di Fiesole et edificaronla sotto lo nome di Marte, lo quale è uno de’ sette pianeti; et appo li poeti si chiama lo idio delle battaglie: però che li antichi infedeli guardavano molto al di’ dell’edificazione della città, e quel pianeto che trovavano signoreggiare, et a quello la consecravano e quello adoravano. E così pone che per questo li Fiorentini avessono per loro idio Marte e facessonli lo tempio e quello adorassono; ma poichè furono convertiti alla fede cristiana, presono santo Giovanni Battista per loro padrone, e lasciarono Marte, siccome veggiamo che à fatto ogni città cristiana, che à preso qualche Santo per suo padrone: e perchè lasciarono Marte, dice costui che Marte sempre la farà trista con l’arte sua; cioè con le battaglie, che sempre combatteranno o con seco o con altrui. Quando li Fiorentini si convertirono, secondo che dice messer Giovanni Boccacci 1, cavarono la statua di Marte che era uno uomo a cavallo, di pietra o di marmo rozzamente fatto non molto grande, del tempio suo che poi lo consecrarono sotto il vocabolo di san Giovanni: e dice che quel medesimo tempio era e così fatto, come è ora; e perchè teneano ancora del rito o vero dell’usanza del paganesimo, tenendo che questa statua avesse buono augurio alla città, se ella fosse posta in onorevole luogo, la posono in sulla torre ch’era presso all’Arno, onde venendo poi Attila e disfatta Fiorenza, quella statua cadde in Arno. Onde poi che’ Fiorentini la riedificarono la seconda volta con gran fatica, avendo storpio 2 da’ Fiesolani, ritrovarono questa statua pur dalla cintola in su, l’avanzo non poterono mai ritrovare, e quello puosono in su una murella del ponte vecchio: poi venendo lo diluvio che fece cadere li tre ponti di Fiorenza, quella statua non si potè mai ritrovare sicchè ora non v’è più; ma forse v’era al tempo di questo Fiorentino che l’autore à indotto a parlare; e però dice come detto è di sopra. Io fe’ giubetto a me delle mie case. Questo giubbetto è vocabolo francesco e significa luogo delle forche, perchè così si chiama a Parigi, e però dice che s’impiccò per la gola in casa sua, e questi si conta che fosse messer Bucco de’ Mozzi, il quale poi ch’ebbe destrutta la sua facultà, per dolore e per disperazione s’appiccò per la gola in casa sua; e però finge l’autore che le cagne lo stracciassono. E chi dice che fu messer Lotto degli Agli, il quale era giudice, e perchè diede una falsa sentenzia s’appiccò per la gola con la sua cintola dell’ariento: perchè alquanti cittadini fiorentini in quel tempo s’appiccarono, però l’autore non nomina; ma descrivelo per la patria e per la morte, acciò che lo lettore possa intendere di qual vuole; e qui finisce il canto xiii.

  1. C. M. Boccaccio,
  2. C. M. stroppio