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372 | i n f e r n o |
103Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
Che tien volte le spalle ver Damiata,
E Roma guarda sì, come suo speglio.
106La testa sua è di fin or formata,
E puro argento son le braccia, e il petto;
Poi è di rame in fino alla inforcata:
109Da indi in giuso è tutto ferro eletto,
Salvo che il destro piede è terra cotta,
E sta in su quel, più che in su l’altro, eretto.
112Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
D’una fessura che lagrime goccia,
Le quali accolte foran quella grotta.
115Lor corso in questa valle si diroccia:
Fanno Acheronte, Stigie e Flegetonta;
Poi sen va giù per questa stretta doccia
118Infin là, dove più non si dismonta:
Fanno Cocito; e qual sia quello stagno,
Tu il ti vedrai, però qui non si conta.1
121Et io a lui: Se il presente rigagno
Si deriva così del nostro mondo,2
Perchè ci appar pur da questo vivagno?3
124Et elli a me: Tu sai, che il luogo è tondo;
E tutto che tu sia venuto molto4
Pur a sinistra, giù calando al fondo,
127Non se’ ancor per tutto il cerchio volto;
Per che, se cosa n’apparisse nova,5
Non dee addur maraviglia al tuo volto.