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[v. 79-96] | c o m m e n t o | 623 |
guardando sospira; così si rilevò quel misero peccatore. Et esclama l’autore per questo, dicendo: O potenzia di Dio, quanto se’ vera 1; cioè giusta che croscia cotali colpi per vendetta! Et allora Virgilio lo domandò chi elli era; et elli rispose ch’elli discese di Toscana in quella bolgia, ch’elli chiama fiera gola, poco tempo era, e ch’elli era Vanni Fucci di Pistoia lo quale era vivuto bestialmente, e come a bestia Pistoia gli era stata degna tana. Et allora Dante disse a Virgilio; Dilli che non mucci, domandalo per qual colpa è dannato in questo luogo, ch’io vidi già uomo di sangue e di corrucci, sicché dovrebbe essere tra’ violenti. Et allora quel peccatore che intese Dante, non s’infinse; ma dirizzò verso Dante l’animo e il volto, e vergognandosi disse: Più mi duole che tu m’ài colto in questa miseria, che quand’io fu’ tolto dell’altra vita: io non posso negar quel che tu chiedi: sappi ch’io sono messo qui, perch’io fui ladro alla sagrestia di Pistoia, e falsamente fu già apposto ad altrui; ma perchè tu non goda d’avermi qui veduto, odi quello che io t’annunzio: Pistoia prima si dimagra de’ Neri, e Fiorenzia rinnuova gente e modi, e Marte tragge vapore di Val de Magra che è involuto da turbidi nuvoli, e combatterassi 2 con violenzia impetuosa et agra sopra campo Piceno; onde subitamente si spezzerà la nebbia e gitterà la saetta sì, che ogni Bianco ne sarà ferito; e questo t’ò detto, perchè te ne dolga, perchè se’ de’ Bianchi. E qui finisce la sentenzia litterale e il canto: ora è da vedere lo testo con le allegorie e moralitadi.
C. XXIV — v. 79-96. In questi sei ternari l’autor nostro finge che, secondo ch’avea domandato a Virgilio, discesono del ponte settimo e vennono in su la ripa ottava, per vedere quel ch’era nella bolgia settima, onde dice: Noi; cioè Virgilio et io Dante, discendemmo il ponte; cioè settimo in sul quale eravamo, dalla testa, Dove s’aggiugne con l’ottava ripa; questo dice, per mostrare che uscirono della ripa di là, E poi mi fu la bolgia manifesta; cioè settima a me Dante: E vidivi entro; in quella settima bolgia, terribile stipa; cioè congregazione e stivamento, Di serpenti, di sì diversa mena; cioè di sì diversa spezie, Che la memoria il sangue ancor mi scipa; cioè la ricordanza di quelli serpenti ancora mi divide il sangue da’ luoghi suoi, e fallo tornare al cuore come fa la paura, come mostrato è di sopra in alcuno luogo. Questi serpenti, che l’autore fìnge qui, sono li demoni ch’ànno a tentare del peccato che qui si punisce, et ancora li uomini che di ciò ànno tentato, come apparirà di sotto: imperò che spesse volte li uomini sono strumento del demonio. Più non si vanti Libia con sua rena; afferma l’autore con tre similitudini quello, ch’à detto della copia e della diversità de’ serpenti, di-