Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/834

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790 i n f e r n o   xxxi. [v. 46-69]

gnesi lo maschio con la femina, volgendo la groppa l’uno all’altro; non partorisce se non uno per parto, e portalo uno anno e fallo nell’acqua, acciò che si possa levare1. Pigliansi dagli uomini con inganni, tagliando li arbori ove si sogliono appoggiare a dormire sì, che quando vi s’appoggiono, caggiono in terra; et è molto grato animale a chi li fa bene: imperò che ubidisce poi chi lo rileva. Ànno nimicizia con li dragoni, e però li dragoni si lanciano al fianco loro, a succhiare il sangue loro che ne sono molto vaghi; et essi si gittano in terra, e col peso uccidono lo dragone. La balena è uno pesce grandissimo in mare e di grandissima forza e gitta l’acqua grandissimamente, o vero altissimamente, per due fori che à nella testa, al lato alle nari del naso, tra li occhi e la bocca, et in grande abondanzia; e farebbe pericolare molti legni, se non che à sopra li occhi come falcie grandissime, appiccate l’una all’altra, digradando incominciando dal lato men grandi, e poi più infino al mezzo dell’occhio, sicchè come cava lo capo, queste lappole caggiono in giù e non può vedere lume, e nell’acqua, sì che l’acqua le galleggia come uno tetto levatoio, chi guarda sottilmente, Più giusta e più discreta la ne tiene; cioè la natura, che non à lasciato di producere li elefanti e le balene, come a lasciato di producere li giganti; et assegna la cagione: Chè dove l’argomento della mente S’aggiugne al mal volere, et à la possa; queste tre cose erano nelli giganti; ma nelli elefanti no, nè nelle balene che, benchè vi fosse la possa, non v’era il mal volere, nè lo ingegno; e se pur vi fosse il mal volere, che ragionevolmente non si può dire, se non in quelli animali ov’è lo libero arbitrio, non vi può essere lo ingegno come nell’uomo, che è animale ragionevole et intellettuale, Nessun riparo vi può far la gente; e però la natura lasciò di producere li giganti, perch’era male inreparabile.

C. XXXI — v. 58-69. In questi quattro ternari lo nostro autore descrive quel gigante lo quale elli scorgeva, e finge che fosse Nembrot, del quale si dirà di sotto, e dice così: La faccia sua; cioè di quel gigante2 scorgea, mi parea lunga e grossa, Come la pina di San Piero a Roma; fa qui la similitudine che, come è lunga e grossa la pina di San Piero a Roma; così la faccia di quel gigante; cioè Nembrot: questa pina è a Roma nella chiesa di san Piero3, et è di rame, Et a sua proporzion eran l’altre ossa; cioè tutta l’altra persona

  1. — lavare? E.
  2. Nel nostro codice è tralasciato il relativo che; che scorgea, come non di rado s’incontra presso i Classici. E.
  3. C. M. di san Piero, in su li gradi della chiesa di fuora, et è di bronzo, o vero metallo, voita di dentro, et era in sul campanile di San Piero in su la cupula, e percossa dalla saetta ne cadde giuso, e mai poi non vi si puose, Et a sua