Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/850

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806 i n f e r n o   xxxii. [v. 10-15]

al poeta si conviene di dire convenientemente alla materia, e però dice: Non sanza tema; cioè paura, a dicer mi conduco. Rende la cagione, dicendo: Chè non è impresa da pigliar a gabbo; cioè a beffe; cioè questo, Descriver fondo a tutto l’universo: quanto a la lettera, fondo è del mondo lo centro della terra; e descriver fondo a tanta cosa, quanto è il mondo non n’è impresa da beffe, Nè da lingua che chiami mamma o babbo; mostra che come non n’è impresa da essere presa da beffe; così non n’è da esser presa da fanciullo, e da chi abbi ingegno fanciullesco: imperò che i fanciulli sono quelli che chiamano mamma e babbo, quando vogliono chiamare lo padre e la madre: mamma è nome preso dalla popola1 che si chiama mamma: babbo è nome preso dalle nutrici che dicono, quando insegnano favellare al fanciullo, ba, ba; e però dimostra che si dè pigliare da perfetto2 ingegno e con diligenzia, e questo à detto a sua escusazione, se non dicesse così propriamente.

C. XXXII — v. 10-15. In questi due ternari l’autor nostro fa una invuocazione et esclamazione, poi ch’à premesso la sua scusa; et invoca le Muse, delle quale è stato detto di sopra, come chiamare dee ciascuno poeta, e dice così: Ma quelle Donne aiutino il mio verso; cioè le Muse aiutino il mio poema, Ch’aiutaro Anfione a chiuder Tebe; qui è da sapere che Zeto et Anfione fratelli rimasono signori di Tebe, e non avea ancora Tebe fatte le mura d’ogni intorno, sì che Anfione che sapea molto bene sonare la chitarra, sonandola facea muovere li sassi e venire l’uno sopra l’altro, e così fece lo muro intorno intorno. E benchè questa sia fizione poetica, l’autor dimostra quello che se ne dee intendere, che già Anfione con la chitarra non fe muovere i sassi; ma con la sua eloquenzia si mossono li uomini duri come sassi, parlando convenientemente al fatto; la qual cosa avea dalle Muse che sono scienzie dei poeti; e queste chiama l’autore in suo aiutorio, e dimostra il fine perchè le chiama, dicendo: Sì che dal fatto il dir non sia diverso: al poeta s’appartiene d’accordare i fatti ai detti. Aggiunge dopo la invocazione la esclamazione finta contra i dannati nel nono cerchio, dicendo: Oh sopra tutti mal creata plebe; se tutti i dannati si possono dire mal creati, ancora si possono dire mal creati sopra tutti quelli del nono cerchio: imperò che sono di più grave peccato che gli altri, e così di maggior pena, Che stai in luogo onde il parlar m’è duro; cioè che stai nel fondo dell’inferno, del quale m’è duro a parlare, secondo la sua convenienzia, Mei foste state qui pecore o zebe; cioè in questo mondo meglio seresti3 stati pecore o capre o altri animali bruti, che moiono insieme l’anima col corpo, che non saresti stati dannati!

  1. C. M. pupola
  2. C. M. da provetto ingegno
  3. Seresti stati. Gli antichi nel principio di nostra favella terminarono in i la seconda plurale, per conformarsi ai Latini. Seresti viene dall’infinito sere. E.