Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/896

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852 i n f e r n o   xxxiv. [v. 28-36]

uscire dell’inferno. Com’io divenni allor gelato e fioco; dice l’autore, Nol domandar, Lettor, ch’io non lo scrivo; et assegna la cagione: Però ch’ogni parlar sarebbe poco; a volere esprimere la mia paura; ora pur la descrive in brievi parole, dicendo: Io non mori’, e non rimasi vivo; sì ch’elli rimase in quel mezzo; cioè nè vivo, nè morto: Pensa oggimai per te, s’ài fior d’ingegno; tu, Lettor, Qual io; cioè Dante, divenni, d’uno e d’altro privo; cioè privato del vivere e del morire. Conveniente cosa è che a veder così fatta cosa elli finga avere avuta sì fatta paura.

C. XXXIV — v. 28-36. In questi tre ternari l’autor nostro descrive la statura di Dite, e il luogo dove elli era, dicendo così: Lo Imperador del doloroso regno; cioè dell’inferno, che è luogo di dolore, Dal mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia; ecco lo luogo dove era; cioè fitto nella ghiaccia nel centro della terra, e da mezzo il petto in su si vedeva fuori della ghiaccia; non che la ghiaccia il toccasse, che non sarebbe verisimile che, afferrandosi a’ peli suoi, fossono discesi infino al foro del centro della terra; ma avea d’intorno la ghiaccia che occupava in fino al mezzo il petto, E più con un gigante io mi convegno; cioè io Dante più m’agguaglio a uno gigante, lo quale è tanto maggiore di me, Che i giganti non fan con le sue braccia; cioè che non s’agguagliano li giganti alle braccia sue; cioè del Lucifero: imperò che le braccia sue di Dite; cioè del Lucifero, sono molto maggiori che uno gigante. Vedi oggimai; tu, Lettore, quant’esser dee quel tutto, Che a così fatta parte si confaccia: cioè si convenga, secondo la sua proporzione e secondo la dimensione de’ corpi, a sì fatta parte, come erano le braccia sue1; o vogliamo intendere da mezzo il petto in su. S’el fu sì bel, com’egli è ora brutto; questa similitudine è vera, benchè l’autore la proferisca sotto dubitazione: imperò che giusta cosa è che tanto cadesse di sotto all’altre creature, quanto elli avanzava l’altre creature; sicchè questa è vera che tanto fu bello, quanto ora è brutto, E contra il suo Fattore alzò le ciglia; questo aggiugne alla similitudine ancora per vera, benchè che2 la proferisca a quello medesimo modo: imperò che contro a Dio si levò per superbia, volendosi porre pari a lui, dicendo: Ponam sedem meam in3 aquilone, et ero similis altissimo. E di questo antecedente l’autore induce questa vera consequenzia, Ben dee da lui procedere ogni lutto; cioè ogni pianto e miseria. Questa consequenzia è verissima; e per inducere questa, premise quello antecedente di sopra, sotto modo di dubitazione, ben ch’elli l’abbia fermissimo.

  1. Altrim. — si convenga proporzionalmente e secondo la dimensione de’ corpi a sì fatta parte, come erano le braccia sue; o vogliamo
  2. C. M. benchè la proferisca
  3. C. M. ab aquilone,