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Pagina:Commedia - Inferno (Lana).djvu/171

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INFERNO. — Canto VI. Verso 73 a 93 167

Giusti son due, ma non vi sono intesi:*75
     Superbia, invidia ed avarizia sono
     Le tre faville che hanno ì cori accesi.
Qui pese fine al lacriniabil suono.
     Ed io a lui: Ancor vo’che m’insegni,
     E che di più parlar mi facci dono.
Farinata e il Tegghiai, che fur sì degni,1
     Jacupo Rusticucci, Arrigo e il Mosca,80
     E gli altri che n ben far poseser gl’ ingegni,
Dimmi ove sono, e fa ch’io li conosca;
     Chè gran desio mi stringe di sapere,
     Se il ciel gli addolcia o lo inferno gli attosca.
Ed egli: E’ son tra l’anime più nere;85
     Diversa colpa giù li grava al fondo:2
     Se tanto scendi, li potrai vadere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
     Pregoti che alla mente altrui mi rechi:
     Più non ti dico e più noti ti rispondo.90
Gli diritti occhi torse allora in biechi:
     Guardommi un poco, e poi chinò la testa:
     Cadde con essa a par degli altri ciechi.


  1. v.79.Scrivo Tegghiai e non Tegghiaio perchè questo mi allunga il verso
  2. v 86. Riprendo la lezione del Cod. Gaetani del Vat. 1399 dell’Antol. dell’Angelelico, dei Parmensi 18 e 1, 104. 104 del BS, del Cortonese e di due Patavini, del Bartolini, del Poggialino e del Cassinese che è più poetica, e più musicale e vera come il gravare al fondo val proprio tenerli in giù col peso; mentre aggravar nel fondo è affaticarli laggiù col peso. Il parmigiano 1375 e altri da me altrove citati ha quasi tutti diversa pena ma a me pare che se son giù sonci per la colpa ch più li caccia quant’essa è più grave e quindi come Lana dice a maggior pena. Il perugino e il Cortonese e il Cavr. fra molti han cam’io tengo.




V. 73. Poi che ha ditto dello stato di Firenze, dice non sono se non due mondani giusti, li quali noti vi sono intesi cioè; adovrati: e però Dante, non li noma, ciè Giustizia,e Ragione. E soggiunge che la cagione di questa lite sì è tre pestiferi vizi cioè Superbia, Invidia, Avarizia, li quali comunemente regnano nei fiorentini.

76 . Poi ch’ebbe inteso Dante tale risposta, pregollo ch’elli fesse conto se alcuni nobili di Firenze, li quali ebbono già buon stato in mano, sono lie in inferno, o se il cielo li adolcia, cioè o se sono salvi; li quali sono nominati nel tnsto.

85. Rispuose Ciacco ch’erano più in giuso e a maggior e ch’el pregava ch’el facesse di lui memoria quando fosse tornato suso al inondo. Poi seguendo lo poema disse che cadde appresso gli altri.