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INFERNO. — Canto VII. 173

E poi, come appare nel testo, non puonno parlare, ma fanno pullulare l’acqua che non si può intendere suo dittato. Ancora tra essi si smembrano , graffiano ed offendonsi, quasi a dire quello die fu da ira vinto nel mondo averso Dio e lo prossimo, qui è offeso sì da Dio che gli ha posti in quel luogo, come eziandìo dal prossimo, di cui ello gli è compagno, che lo mordeno e squarciano; e però dice: troncandosi co’ denti etc. Apella Dante questa regione Stigia, che è tanto a dire come tristizia: e questo sicome l’iracundo ha letizia della vendetta, così nel suo tormento è in tristizia. El fiume, overo acqua, apella ruscello, quando è disotto nel quinto circolo, quasi sanguinolento, che non solo punisce ed offende l’animo, che è spirituale, in tenerlo stretto e serrato sotto lo pantano e puzza, ma eziandìo lo punisce in corpo quando insieme si smembrano. Or è da sapere che, sicome lo Filosofo tratta in lo secondo dell’Etica iracundia: e a considerare li esteriori mali per li quali l’uomo è provocato ad ira. Or se l’uomo in tale considerazione si adebita e ragionevilmente, è ditto mansueto che li dispiace li vizii; s’elli si dà più in desiderare vendetta che non è la ragione, si è ditto iracondioso; s’elli si dà meno in disiderare vendetta che non è la ragione, si è detto irascibile. E però da appetere e desiderare quella vendetta delle male fatte cose che è consonevile e confermante alla ragione: e chi ciò fa sarà detto mansueto. A Dio dispiace molto lo iracundioso, perocché l’ira nasce da arroganzia, la quale arroganzia è a reputarsi di più degno e maggiore che l’uomo non è. E però della arroganza nasce ira in due modi. L’uno è ira simpliciter, overo dispetto quando l’arrogante vede che uno a chi elli non avrà mai offeso, lo reputerà nulla e di nessuno valore: e chiamasi questo reputare parvipenditas, la quale promove molto li uomini nobili ad ira. E questa è una delle cautele che insegna Aristotile in la Rettorica a coloro che han piato di mostrare ch’elli abbia la contraria parte per niente, per la quale parvipenditade lo suo adversario s’adira: e per consequens l’ira li impedisce sì l’animo ch’ello non può usare onestamente sua ragione, e così cade in disgrazia e in dispregio del giudice.

Lo secondo modo che nasce della arroganzia è ira contumeliosa, la quale è contra quelli che hanno alcuna volta offeso; e quella ira contumeliosa hae appetito di vendetta senza alcuno amore di caritade; e perochè questa arroganzia dispartuomo da caritade; è in dispiacere di Dio.

Li rimedii che si puonno avere all’ira si è prima silenzio, sì come è scritto in li proverbii : cmm dcfecerit ligna, estivquitur ignis; e però mette Dante che continuo favellano nel pantano.

Lo secondo remedio è pensare alla passione di Cristo, sicome dice san Gregorio: si passio Domini ad memoriam revocetur, nihil a Deo duram est quod non æquo animo tolleretur.

Terzo è considerare le pene dello inferno, le quali mai non hanno fine; e li si va per la sentenzia di Cristo, sicome dice nell’Evangelio: omnis qui irascitur fratri suo, reus erit.

Or è da sapere circa a questa passione che è mansuetudo quel che sormonta per accidia; che accidia è a fare più o meno che non