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330 INFERNO. — Canto XIX. Vekso 49 a 6O

Io stava come il frate che confessa
     Lo perfido assassin, che poi ch’è fitto, 50
     Richiama lui, perchè la morte cessa:
Ed ei gridò: Sei tu già costì ritto,
     Sei tu già costì ritto, Bonifazio?
     Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
Se’tu sì tosto di quell’aver sazio, 55
     Per lo qual non temesti torre a inganno
     La bella Donna, e di poi farne strazio?
Tal mi fec’io, quai son color che stanno.
     Per non intender ciò ch’è lor riposto.
     Quasi scornati, e risponder non sanno. 60




52. Dice che stando cosi come per udir sua risposta, quello, ch’era fitto, gridò e disse: sei tu già qui, Bonifacio? Io veggio ben che la scrittura mi fallò nel mondo di parecchi anni, che tu non dovresti ancora essere venuto. E soggiunge or se’tu sì tosto sazio dell’avere temporale, per lo quale acquistare tu non temesti nè avesti paura di torre a ingannare la bella donna per moglieri, e poichè l’avesti tolta, non riguardasti di farne strazio1.

Circa la qual risposta è da sapere che l'autor mette che questo peccatore cosi fatto era 1’ anima di papa Nicola delli Orsini di Roma, lo qual per acquistar moneta non si vedea stanco nè sazio di vendere e di alienare le cose spirituali per le temporali, commettendo continuo simonia, in per quello che ogni suo atto si drizzava ad avere pecunia; e questa volea per far grandi quelli di casa sua e sè nel mondo. E dice, come di sotto apparirà, come giustamente li può esser detto orso; in per quello che cupidigia abunda più nelli orsi che in alcuno altro animale che sia nel mondo, ed è quello che men si sazia. E credea il detto papa Nicola che Dante fosse papa Bonifacio, in per quello ch’elli sapea tra per scrittura e per revelazione di dimonii, che Bonifacio dovea venire a simile tormento tra per simonìa e per dispregiare le spirituali cose, che, sicome appare nel terzo capitolo, fraudolentemente Bonifacio fece rifiutare a papa Celestino lo papato, e però dice: non temesti torre a inganno La bella donna, cioè la Chiesa; e poi di fame strazio, cioè d’usarla non in suo debito modo, anzi simonizzando l’hai posseduta.

58. Qui seguendo il poema mostra Dante che si scornò non intendendo quei parlare; in per quello che Dante lo dimandò chi elli era, e che peccato l'avea sì sommerso. Ed elli credendo che Dante fusse Bonifacio, non li rispondea alla dimanda, ma recitava li suoi peccati. Allor Virgilio intendendo lo parlare del peccatore, disse a Dante: dilli che tu non se’ chi elli crede.

  1. Cosi alcuni Codici. Ma la stampa ha: ai piedi di farne degomento e strazio; che forse originalmente dicea: empio, di farne vergognamento e strazio. E difatto il Cod. Magliabecchiano parla di vergogna e vitupero.