Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/274

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144 INFERNO 48. Raccoglietele al pie del tristo cesto. r fui della città che nel Battista Cangiò '1 primo padrone: ond' e', per questo, 49. Sempre con l'arte sua la farà trista. E, se non fosse che 'n sul pa^so d' Arno Rimane ancor di lui alcuna vista, 50. Quei cittadin' che poi la rifondarno Sovra '1 cenar che d'Attila rimase, Avrebber fatto lavorare indarno. r fei giubetto a me dello mie case. dPll'[nferno. — Di^onpsto. Mn. , Vi : Tmncas ivhon«'sio culnfre nnrs. 48 (L) Cesio: .vspo — CiUà: Fi- renze. — F "I- one : M irle. (SL) B dilata. M^rie, non più patrono di Fuenzt', ^legnalo ne la flagella ; e p^-figio san bb^* se al Ponte Vt-cchio non se ne vedesse ancora la statua smoz/.icaia; fatta levare dal fiume dove gran lemoo già' que. Fi- renze, tovò di quegli anm molie sconfitte L' accenno è i""? eme ironìa e commiseraz'one. — Padro>e Ma- chiavelh; S G^oo'tnni prolfllo>e e padroìie di q-iedi vpubblica 49 (L) Arte: la guerra. — Vista: Imagine, (SL) Arte. Mirte, ì Latini as- solutamente, per guerra. yEn. , VII: Insani M irtii amore. (F) Vista. Discorso supersti- zioso posto In bocca a un dannato ; è allegorico. Vuol dire Glie Firenze, smessi gli usi guerrieri, non aveva più pace; datasi k\ trs^fflco de' suoi fiorini portanti l' Imagine del Bitii- sta. Di ciò fii lagnano altri del tempo di Dante. E a questo pas-jo danno Jnce quelli del Paradiso (IX e XVIIl). F. G. V.li.. l. 42 60; II, 1; HI, 1. 50 ìL» Gnhftto : patibolo. (SL) Riiondarno. Totila dan- neggiò F-reiue. ma non la distrusse : co!>i U storia. C^rlo Masino, se<'.ondo f-tvolnst tradizione, la ri^-flìfì-ò — Ginbpllo. Post. Ciet. : Qinhetio, torre a Piiqi one iinpiCi.ami oli vomini. - Giubbeiln ha il ^oml (Il iO> (F) lada>no. Psal. .'XXVI, I : S' il S griore non a'^tà e ificnta la C'iS'i, iiiiiarno lucoreranno Qite' che la muiano. -""^Sgl&o- Da Virgilio è il concetto princi- pale del llanto; ma Virgilio non tia quel polente: mei 'a inàeme parole e sanaue; né il ceipuglio eh" pian- gca, Por le rollure aanguinenti., in- vnno. Li effi Vice famisrliania del lin- guaggio asigiunge potenza alle due nuove similitudini del tizzo che ci- gola e della l'accia ciie vien rumo- rosa come tempesta, I lamenti delle arpie che straziano cogli ariiifli e col becco i (Unnaii, Dare che ag'^iunsjano la beffi al tormento: e qu-^l oroiiiro che. ansando al corso, né potendo con U fuga sottrarsi ai m >rsi delle cagne nere rabbiose, ha pur flato da rinfacciare all'altro corrente la sua s'^onfìtta in battaglia; e poi s'appiatta sotti» un cespuglio, ed è lacerato con quello, si che al suicida aggiuntesi alle arpie il m trso de' cani: è com- media infernale. Il Ghibellino, che a Firenze re- pubblica rimprovera il vizio dell'in- vidia confessa che l'invidia é il vi- zio delle coni ^on so se il dire di Pier delle Vigne sia qua e là men p^r>'o e meno schietto di quel che in D.inte suol essere, per a. lattarsi alla mmir^ra del cortigiano e del let- terato: ma Dante, all' udirlo, ne sente tanta pietà che non può profferire parola.