Pagina:Commedia - Paradiso (Buti).djvu/297

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go; cioè do per opera, La cagion di mia sorte; cioè la influenzia del detto pianeto, che fu cagione della mia condizione; cioè d’essere amorosa, et in questo lietamente ora m’adopero cioè in amare Iddio perfettamente, secondo la influenzia dello amore che a me fu data come sorte. O vogliamo intendere: Io me la perdono; cioè la cagione, cioè la vita mia tale quale ella fu, che fu cagione di mia sorte, cioè di questo grado di beatitudine che io òne. La tristizia della colpa portai nel mondo quando me ne pentitti, e nel purgatorio portai volentieri la pena, et ora con allegrezza mi ricordo di tal peccato esser mondata e lavata. E dèsi intendere: E non desidero d’essere stata se non di quella condizione che io fui: imperò che se io desiderassi altro, non arei vita beata; e però dice e la condizione di mia sorte non mi noia; cioè non mi fa increscimento nè noia la vita mia fatta come fu, che fu cagione di questo grado di beatitudine che io òne, nè non vorrei che fusse fatta altra ch’ella fu, anco ne sono contenta e lieta; e però dice lo testo, e non mi noia; cioè e non mi nuoce la cagione di mia sorte: imperò che io ne sono lieta e contenta, avendo sodisfatto quanto richiedeva lo diritto della iustizia, e per questo mi perdono quello con allegrezza, perchè veggo che è sodisfatto a la iustizia in che è quietato lo mio desiderio che desiderava iustizia del peccato mio. Che; cioè la qual cosa, parria forsi forte al vostro vulgo; cioè parrebbe forte cosa al popolo che non vede bene la verità, cioè che l’anime beate siano liete e contente de la loro vita passata, comunqua sia stata fatta. Ma non si dè intendere ch’elle siano liete dei loro peccati, come intende forse lo popolo, nè non si dè pensare che dei loro peccati abbiano tristizia: imperò ch’elle sono beate, e colla beatitudine non può stare la tristizia; ma dèsi intendere, come è stato detto, ch’elle sono liete che si vedeno secondo iustizia aver sodisfatto al peccato et essere premiate da Dio per sua larghezza e misericordia più che non meritavano, e sono contente della loro condizione che ebbono nel mondo, perché la loro volontà è quietata. E questo parrebbe a molti che contradicesse a quel che finse di sopra nell’ultimo canto della seconda cantica; cioè che era una fonte unde descendevano due fiumi; cioè Eunoe che rende la memoria del bene, et accende a ben fare; e Lete che tolle la memoria del male: imperò che s interpetra dimenticagione, e qui mostra che se ne ricordino, dunqua contradice a quello. A che si dè rispondere che non contradice: imperò che non si debbe intendere che Lete tolla la memoria dell’atto che l’uomo àe fatto; ma sì del male animo con che si fece, cioè che l’omo dimentica lo male animo ch’elli ebbe al fatto: imperò che è purgato, e non è più, e quel che non è non si dè ricordare; e non dimentica l’atto che in sè è buono, se con buono animo si fa. Et è necessario che così sia: imperò che