Pagina:Commedia - Paradiso (Buti).djvu/770

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130Questa Natura sì oltre s ingrada
     In numero, che mai non fu loquela,
     Nè concetto mortal che tanto vada.
133E se tu guardi quel che si rivela
     Per Daniel, vedrai che ’n suo’ milliaia1
     Determinata numero si cela.
136La prima luce, che tutta la raia,2
     Per tanti modi in essa si ricepe,
     Quanti son li splendori, a che s’appaia.
139Unde: però che all’atto, che concepe,
     Segue l’ affetto, d’ amar la dolcezza3
     Diversamente in essa ferve e tepe.
142Vedi l’eccesso omai e la larghezza
     De l’ eterno valor, possa che tanti
     Speculi fatti s’à, in che si spezza,
145Uno manendo in sè, come d’ avanti.4 5

  1. v. 134 C. A. che in su migliaia
  2. v. 136.C. A.recepe,
  3. v. 140. C. A. l’effetto,
  4. v. 145. Manendo; restando, usato alla guisa latina, come eziandio presso Frate Iacopone «Poria fare tanto io, Che a lui fosse in piacere Che con voi qui manere Potessi con dimora?» E.
  5. v. 145. C. A. davanti.




C O M M E N T O


Quando ambedu’ ec. Questo è lo canto xxix della terza cantica de la comedia di Dante, nel quale lo nostro autore tratta della creazione delli Angeli, e di tutta la creatura; e, ritornando pure a parlare delli Angeli, dichiara di loro alquante belle conclusioni, riprendendo a l’ultimo li predicatori che esceno de la materia de la santa Scrittura per mostrarsi, e poi ritorna anco a parlare delli Angeli. E dividesi questo canto principalmente in due parti: imperò che prima finge che Beatrice, ragguardando in Dio, vidde li dubbi che Dante avea ne la mente, e quelli l’incominciò a dichiarare; nella seconda finge come Beatrice riprese, facendo disgressione, li Teologi che erano allora nel mondo, dello uscire fuora de la santa Scrittura