Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/115

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canto vi 105

E al mio Bellisar commendai l’armi,
     Cui la destra del del fu sì congiunta,
     Che segno fu ch’ io dovessi posarmi. ‘27
Or qui alla quistion prima s’ appunta
     La mia risposta; ma sua condizione
     Mi stringe a seguitare alcuna giunta;
Perché tu veggi con quanta ragione
     Si muove contra il sacrosanto segno
     E chi il s’ appropria, e chi a lui s’ oppone.
Vedi quanta virtù I’ ha fatto degno
     Di reverenza, e cominciò dall’ ora
     Che Pallante morì per dargli regno. 36
Tu sai ch’ esso fe’ in Alba sua dimora
     Per trecento anni ed oltre, infimo al fine
     Che i tre a tre pugnar per lui ancora. 39
Sai quel che fe’ dal mal delle Sabine
     Al dolor di Lucrezia in sette regi,
     Vincendo intorno le genti vicine. 42
Sai quel che fe’ portato dagli egregi
     Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
     Incontro agli altri principi e collegi: 45
Onde Torquato, e Quinzio, che dal cirro
     Negletto fu nomato, e Dcci e Fabi,
     Ebber la fama che volontier mirro. 48
Esso atterrò 1’ orgoglio degli Arabi,
     Che di retro ad Annibale passaro
     L’ alpestre rocce, Po, di che tu labi.
Sott’esso giovanetti trionfaro
     Scipione e Pompeo, e a quel colle,
     Sotto il qua! tu nascesti, parve amaro.
Poi, presso al tempo che tutto il del volle