Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/534

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paradiso

Questo sicuro e gaudioso regno, Frequente in gente antica e in novella, Viso e amore avea tutto a un segno. 27 O Trina luce, che in unica stella Scintillando a br vista sì li appaga, Guarda quaggiuso alla nostra procelia. 30 Se i Barbari, venendo da tal piaga, Che ciascun giorno d’ Elice si copra Rotante col suo figlio ond’ ella è vaga, 33 Veggendo Roma e l’ardua sua opra Stupefaceansi, quando Laterano Alle cose mortali andò di sopra; 36 io, che era al divino dall’umano, E all’ eterno dai tempo venuto, E di Fiorenza in popoi giusto e sano, 39 Di che stupor doveva esser compiuto! Certo tra esso e il gaudio mi facea Libito non udire, e starmi muto. 42 E quasi peregrin , che si ricrea Nel tempio del suo voto riguardando, E spera già ridir com’ elio stea, 45 Sì per la viva luce passeggiando Menava io gli occhi per li gradi Or su, or giù, e or ricirculando. 48 E vedea visi a carità suadi, D’altrui lume fregiati e del suo riso, E d’ atti ornati di tutte onestadi. La forma generai di Paradiso Già tutta il mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso; 54 E volgeami con voglia riaccesa