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330 | p u r g a t o r i o xiv. | [v. 67-75] |
mille anni non si racconteranno le parti; e però dice: Io; cioè Guido, veggio tuo nipote, che diventa; cioè Fulcieri de’ Calvoli de’ Forli, Cacciator di quei lupi; cioè podestà dei Fiorentini, li quali di sopra àe ditto esser lupi: imperò che al podestà s’appartiene d’esser cacciatore di coloro che volliono vivere fieramente, e fare violenzia alli altri cittadini, in su la riva Del fiero fiume; cioè in Fiorensa ch’è in su la riva d’Arno, e tutti li sgomenta; condannando prima chi lo meritava. Vende la carne loro, essendo viva; cioè per denari campando chi dovea morire, e facendo morire chi dovea campare, Poscia gli uccide; cioè li Fiorentini, come antica belva; cioè come fa l’antica bestia, che intra ne la mandra, strossa or l’uno, or l’altro dei castroni, così fece questo messere Fulcieri dei Fiorentini, essendo già antico. Molti; cioè Fiorentini, priva di vita; uccidendoli e trattandoli al modo detto di sopra, e sè di pregio; cioè di fama e d’onore, priva; facendo le predette cose. Sanguinoso esce; lo ditto messere Fulcieri, in quanto spargerà lo sangue di molti, de la trista selva; cioè di Fiorensa la quale lasserà trista, come fa lo leone o lo lupo, quando àe uciso 1 le bestie de la selva, Lassala tal; cioè Fiorensa sì fatta, che di qui a mille anni; che seguiteranno, Ne lo stato primaio non si rasselva; cioè non si racconcia ne la concordia et unità di prima.
C. XIV — v. 67-75. In questi tre ternari lo nostro autore finge
come messere Rinieri si turbò, udendo quello che disse messer Guido
del nipote suo; e com’elli dimandò chi elli erano, dicendo: Come a l’annunzio dei dolliosi danni; cioè come quando s’annunziano li
danni, che abbiano a dare dolore, Si turba il viso di colui che ascolta; cioè che ode dire, Da qualche 2 parte il perillio l’assanni; cioè
che il periculo lo debbia assalire e mordere da alcuna parte, Così vidd’io; cioè Dante, l’altra anima; cioè messer Ranieri, che volta Stava ad udir; messere Guido che parlava, turbarsi e farsi trista;
per quello che dicea, Poi ch’ebbe la parola a sè raccolta; cioè poi
ch’ebbe inteso quello che dicea messere Guido. Lo dir dell’una; cioè
anima, e dell’altra la vista; cioè anima, la vista; turbata, cioè lo
parlare di messere Guido e lo turbamento di messere Ranieri, Mi fe vollioso di saper lor nome; cioè me Dante di sapere lo nome
damburo, E dimanda ne fei; io Dante, con preghi mista; cioè adiunigendovi preghi. E qui finisce la prima lezione del xiv canto, et incomincia la seconda.
Per che lo spirto. In questa seconda lezione lo nostro autore
finge come lo ditto messere Guido nomina sè, e messere Ranieri da
Furlì, e tratta de le condizioni dei Romagnoli nel suo processo del