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Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/347

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   [v. 127-141] c o m m e n t o 337

omnis igitur qui invenerit me, occidet me. Dixitque ei Dominus: Nequaquam ita fiet etc. Così disperossi, già reputandosi degno di morte per lo suo fallo; unde lo nostro autore, volendo revocare sè et ogni lettore dal peccato de la invidia, reduce a memoria questa voce di Cain; cioè: Anciderammi qualunque, mi prende; fingendo che passasse per l’aire, come uno fulgore 1 quando fende l’aire, questa voce: imperò che come lo fulgure spaurisce; così questa voce redutta in memoria dè spaurire ogni uno dal peccato de la invidia; e però l’autore à indulto questa finzione, cavata la storia del primo libro de la Bibbia, nel quarto capitulo. E fuggìo come tuon che si dilegua; cioè questa voce subito: imperò che questo pensieri 2, avuto subito ne la fantasia dell’autore, subito spariva per l’altro pensieri che succedette de la finzione poetica, et anco perchè cusì è: quando la mente si ravvolge sopra li esempli, discorre d’esempio in esemplo, come tuono che si dilegua, Se subito la nuvola scoscende; ecco che tocca la cosa naturale, e sotto nota la sua figura; cioè che, quando noi udiamo li tuoni parere discorrere per l’aire, è perchè li nuvoli danno luogo, aprendosi: e così aprendosi l’offuscazione de la mente, lo grido che la fa attonita tosto si parte, e la mente torna a sè. Come da lui; cioè da la voce di Cain ditto di sopra, l’udir nostro; cioè di Virgilio e di me, perchè a questo attendeva la ragione e la sensualità, ebbe tregua; cioè riposo, che nollo udimmo più, Et ecco l’altra; cioè voce per l’aire, con sì gran fracasso; cioè romore, Che similliò tonar che tosto segua; cioè di po ’l fulgure, lo quale è maggiore che quel che indugia, perchè viene con maggior suono e però s’ode più tosto: imperò che, come diceno li Naturali, lo fulgure e ’l tuono è ad una medesima ora: ma perchè più presto lo vedere a vedere, che l’udire ad udire, però prima si vede lo fulgure che s’oda lo tuono; e dimostrasi per esemplo di colui, che veduto da lunga percuotere lo legno co la scura, che prima si vede iunta la scura al legno per spazio, che s’oda lo suono del colpo; e questa voce disse: Io sono Aglauro che divenni sasso; qui lo nostro autore finge che apparisse l’altra voce, che dicesse le sopra ditte parole. E per evidenzia di quelle è da sapere che Ovidio scrive nel secondo Metamorfoseos, che il re Cecrope d’Atene ebbe tre filliuole; che l’una ebbe nome Pandroso, l’altra Erse, l’altra Aglauro, delle quali Erse era bellissima; de la quale, tornando uno di’ da la rocca di Pallade, che era in Atene, da fare li sacrifici secondo lo loro costume, Mercurio iddio d’eloquenzia innamorato venne al palazzo del re, per parlare con Erse de la quale era innamorato. E trovato Aglauro, prima manifestòli lo suo innamoramento e pregòla che li fusse in aiuto; et

  1. C. M. folgore
  2. C. M. pensieri, venuto subito
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