Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/416

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               406 p u r g a t o r i o   xvii. [v. 106-114]

che non dè, corre nel bene; cioè creato, cioè ne le cose del mondo; e questo è lo secondo modo di peccare, O con men cura che non dè, corre nel bene; cioè increato, cioè Iddio, et ecco lo terso modo di peccare; e però adiunge: Contra il Fattore; cioè contra Iddio, che à posto ordine a tutte le cose, et à posto questo ordine che l’omo ami lo bene e ricusi lo male, e che lo sommo bene ami più che può, e lo bene mondano ami quanto si dè e non più, nè meno, e però chi fa altramente, fa contra Iddio; e però dice: adovra sua fattura; cioè l’omo, che è fattura e creatura creata da Dio. E di quinci conchiude la intenzione sua; cioè che amore è cagione d’ogni virtù e d’ogni vizio, e però dice: Quinci; cioè da questo che ditto è, comprender poi; tu, Dante, dice Virgilio, ch’esser conviene Amor sementa; cioè radice e principio, in voi; cioè omini, d’ogni virtute; ecco che generalmente conchiude, E d’ogni operazion che merta pene: l’operazion, che meritano pene, sono li vizi e i peccati.

C. XVII — v. 106-114. In questi tre ternari finge l’autore che Virgilio descenda a trattare de l’amore che si torce al male, conchiudendo che questo cotale amore non può esser, se non inverso ’l prossimo, dicendo così: E perchè mai non può da la salute Amor del suo subietto volger viso; cioè imperò che niuno può non amare sè medesmo o voler male a sè medesmo, seguita questa conclusione che, le cose; cioè tutte, son tute1; cioè sigure, Dall’odio proprio; cioè da odiare sè medesmo: odiare è amore male2 a la cosa odiata: nessuno ama male a sè medesmo, se non sotto specie di bene, come colui che s’uccide, non già per fare male a sè; ma per farsi bene, e così s’inganna. L’autore intende in quanto non s’inganni lo iudicio de la ragione, et adiunge un’altra proposizione e conclude un’altra bella conclusione; cioè che nessuno può odiare Iddio, e però dice: E perchè intender non si può diviso, E per sè stante, alcun esser dal Primo; cioè et imperò che alcuna cosa ch’abbia essere, non à essere se non in quanto Iddio, ch’è lo primo essere la conserva, non si può alcuno essere intender diviso; dal primo essere, ch’è Iddio, nè per sè stante: imperò che depende dal primo essere, e però come ogni cosa naturalmente ama lo suo essere; così ama Iddio, unde depende lo suo essere; e però conclude: Da quell’odiar; cioè da odiare Iddio, ch’è lo primo esser, ogni affetto; cioè ogni desiderio, è deciso; cioè separato e diviso è. Et anco questo si dè intendere, stante lo iudicio de la ragione; et ora conclude lo principale intento; cioè che l’omo non può amare male a Dio, nè a sè, et elli ama lo male e desideralo,

  1. Tute; sicure, dal latino tutus. E.
  2. Male. Presso gli antichi truovansi parecchi nomi con doppio finimento, come appo de’ Latini, i quali avevano semianimis e semianimus, simplex e simplus. E però da noi si dice celeste, fine, male egualmente che celesto, fino, malo ec. E.