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Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/497

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   [v. 424-438] c o m m e n t o 487

per mare con uno legno che portava per insegna lo sparvieri, o vero l’aquila, ella s’appiattò in una isula disabitata et ignota, la quale ella fe abitabile; et era instabile, perchè v’erano molti tremuoti li quali in processo di tempo cessonno, venutovi a stare con lei la sua suore Latona; e, partoritovi li du’ suoi filliuoli Febo e Diana, creve d’abitatori, venutovi di Miconoe e di Giaro molti abitatori ad abitare. Questa isula è in Romania in mezzo de le Ciclade, e però dice: Pria; cioè inansi, che Latona; suore d’Astrea, madre di Febo e Diana, in lei; cioè in Delo, facesse il nido; cioè la sua abitazione, come fa l’uccello quando vuole producere filliuoli, A parturir li du’ occhi del Cielo; cioè Febo che si dice lo Sole, e Diana che si dice la Luna, che sono li du’ luminari grandi che illuminano lo mondo, l’uno di di’ e l’altro di notte. E notevilmente l’autore li chiama occhi: imperò che come l’occhio è istrumento per lo quale l’animale vede: così lo Sole e la Luna sono du’ istrumenti per li quali tutti li occhi delli animali vedeno: imperò che sono la luce del mondo, e niuno vede se non per mezzo de la luce. Poi cominciò da tutte parti; del monte del purgatorio, un grido; questo fu lo grido de li spiriti, che per allegressa di colui, ch’era purgato del suo peccato, cantavano tutti: Gloria in excelsis Deo etc., come apparrà di sotto; e questo finge l’autore, per mostrare che quive sia carità perfetta, perchè sono in stato di grazia, che l’uno è allegro del beno1 dell’altro, Tal; cioè sì fatto fu lo grido, che ’l Maestro; cioè Virgilio, inver di me si feo; per confortarmi ch’io non avesse paura, Dicendo: Non dubbiar, mentr’io te guido; cioè son teco: non dè dubitar la sensualità, quando la ragione l’accompagna; et in2 de’ luoghi dubbiosi la ragione si dè fare in verso la sensualità a certificarla. Gloria in excelsis, tutti, cioè quelli spiriti del purgatorio, sia a Deo; cioè Gloria in excelsis Deo, Dicean; lo cantico sopra ditto che è cantico d’allegrezza, e però la Chiesa non lo canta nell’avvento, nè la quaresima, per quel ch’io; cioè Dante, da’ vicin campresi; cioè da quelli che m’erano presso, Unde intender lo grido si poteo; cioè da que’ vicini si potea intendere quello che gridavano. Et allegoricamente si dimostra come denno rallegrarsi quelli del mondo de la salute del prossimo suo, e ringraziarne Iddio; e convenientemente finge, secondo la lettera, che quelle anime del purgatorio ringraziasseno Iddio de la salute del prossimo suo, ch’era purgato di quello peccato.

C. XX — v. 139-151. In questi quattro ternari col versetto lo nostro autore finge come seguitò con Virgilio lo suo cammino; e come li nacque grande dubbio di quelli due accidenti ch’erano avvenuti; cioè

  1. C. M. bene. Il nostro Cod. à beno, che può stare come pomo, vaso ec. E.
  2. In; è un accorciamento dell’intus latina. E.