Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/687

Da Wikisource.
   [v. 61-75] c o m m e n t o 677


C. XXVIII — v. 61-75. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come la ditta contessa Matelda, approssimata a la ripa del fiume per la preghiera sua, li parve splendientissima, dicendo: Tosto che fu; la ditta donna, là dove l’erbe; che sono a la ripa del fiume, sono Bagnate già dall’onde del bel fiume; lo quale si chiama Lete; e dice che è bello per la descrizione che n’à fatto di sopra, e per allegoria s’intende che l’opere attive sono un poco intermesse e lassate, per la considerazione di diminticare li mali passati, come ditto fu di sopra: l’onde sono pensieri che viene di1 diminticare l’altro male passato, come l’una onda sopraviene all’altra: questa donna figura la dottrina dei predicatori che insegnano la vita attiva, come ditto è: e venire a la riva del fiume non è altro, che insegnare et ammaestrare Dante ch’elli vegna a considerazione di diminticare li mali passati, Di levar li occhi suoi mi fece dono; cioè alsò li occhi e ragguardommi, sì ch’io potetti vedere bene li suoi occhi. Questi occhi sono la ragione e lo intelletto dei santi dottori, che ànno dato dottrina de la vita attiva; li quali occhi si mostraro a l’autore, quando elli considerò l’acuto loro ingegno e chiaro, leggendo o udendo la loro dottrina; e però adiunge questa similitudine, dicendo: Non credo che splendesse tanto lume a Venere; cioè alla dia della lussuria, Sotto le cillia; cioè nelli occhi, trafitta; cioè ferita, Dal fillio; cioè da Cupidine che è lo dio de l’amore, filliuolo di Venere, fuor di tutto suo costume; cioè fuora del modo usato di Cupidine. Venere, iddia di lussuria e madre di Cupidine, iddio dell’amore, teneva lo suo filliuolo in braccio; e, mentre che cusì lo teneva, una saetta di quelle dell’oro scitte del2 turcasso di Cupidine, e cadendo punse Venere; unde ella s’inamorò d’Adone, che allora passava dinanti da lei. E perchè nessuno suole innamorare, se non è arcato co la saetta dell’oro da Cupidine, e qui Cupido non s’adoperò; ma pur la saetta per sè la feritte, però disse l’autore: fuor di tutto suo costume; cioè del filliuolo, trafitta; cioè ferita Venere. Et essendo così innamorata, dice che non crede che sì splendiente avesse li occhi, come avea la ditta donna; e questa similitudine àe indutto, per dimostrare che questa donna, che tiene figura de la dottrina de la vita attiva, non è altro se non li santi dottori che ànno scritto d’essa, li quali ànno li occhi splendienti del Divino Amore; cioè la ragione e lo intelletto, più che non ebbe Venere, che significa la dilettansa e la complacenzia de le cose mondane, che non è altro che li poeti o autori che ànno scritto di quella, li quali non ànno avuto tanto splendore ne la ragione loro e ne lo intelletto, benchè siano stati inaverati3 da l’amo-

  1. C. M. dimenticare uno male sopra l’altro che è passato di dimenticare l’altro
  2. C. M. del carcasso
  3. Inaverare, o naverare; ferire, dal verutum latino, verrettone, sorta di giavellotto. E.            C. M. innaverati