Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/700

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renti, Qui; cioè in questo paradiso, primavera sempre; cioè fu come dice Ovidio nel ditto luogo, Ver erat aeternum,1 placidique tepentibus auris Mulcebant Zephyri — , et ogni frutto; cioè fu qui, nettar è questo, di che ciascun dice; cioè questo fiume è quil nettare, che lutti li Poeti diceno che beano li dii. Questo nettare si dice la stella Diana, et ogni beveragio lavorato et artificiato; unde nel preditto luogo dice Ovidio: Flumina iam lactis, iam flumina nectaris ibant, e così appare che, parlando li Poeti de la prima età, parlavano del paradiso delitiarum, figurato loro per quello che aveano veduto noi sonno in2 Elicone di Parnaso; e sotto questa figura significavano li Poeti che chi si riposava ne lo studio de la poesi, che è come dormire, li era spirato ne la mente fizioni sopra la3 verità occulte, come è a chi sogna. Io; cioè Dante, mi rivolsi addietro allora tutto Ai miei Poeti; cioè a Virgilio e Stazio: volgersi a rieto non fu se non tornare a considerare co la mente e col pensieri la poesi, la quale àe finto molte cose che si possano recare a la Teologia; e questo considerò l’autore, avendo fatta questa finzione, e dice tutto: imperò che tutto fu in questo pensieri, e viddi che con riso Udito aveano l’ultimo costrutto; cioè Virgilio e Stazio aveano riso sopra questo corollario di Matelda; e per questo dà ad intendere che la sua ragione e lo suo intelletto si rallegrò, vedendo come la poesi si può accostare alla verità de la santa Teologia. Poi a la bella donna; cioè Matelda, tornai ’l viso; cioè io Dante tornai a ragguardare Matelda. E questo dà ad intendere ch’elli ritornò a considerare e studiare la dottrina de la santa Teologia; cioè li santi dottori, che sopra questo ànno atteso e quella dottrina scritto4. Seguita lo canto xxix.

  1. aeternum tepidi sine nubibus auras
  2. Elicone; desinenza primitiva. E.
  3. C. M. le verità
  4. C. M. scritto. E qui finisce lo canto xxviii, e seguita lo canto xxiiii.

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