97In cerchio li facean di sè claustro1
Le sette Ninfe con quei lumi in mano,
Che son siguri d’Aquilone e d’Austro.
100Qui serai tu poco tempo silvano,
E serai meco senza fine cive
Di quella Roma, onde Cristo è romano;
103Però in pro del mondo che mal vive,
Al carro tieni or li occhi, e quil che vedi,
Ritornato di là fa che tu scrive.2
106Così Beatrice; et io, che tutto ai piedi
Dei suoi comandamenti era devoto,
La mente e li occhi, ov’ella volle, diedi.
109Non scese mai con sì veloce moto
Foco di spessa nube, quando piove,
Da quil confine che più è rimoto;3
112Com’io senti calar l’uccel di Giove4
Per l’arbor giù, rompendo de la scorza,5
Non che dei fiori e de le follie nove;
115E ferì ’l carro di tutta sua forza;
Ond’ei piegò, come nave in fortuna
Vinta dall’onda, or da poggia or da orza.
118Poscia viddi avventarsi ne la cuna
Del triunfal veiculo una volpe,
Che d’ogni pasto buon parea digiuna.
121Ma riprendendo lei di laide colpe,
La donna mia la volse in tanta futa,
Quanto soffersen l’ossa senza polpe.6
124Poscia per indi, und’era pria venuta,
L’aquila viddi scender giù nell’arca
Del carro, e lassar lei di sè pennuta.
- ↑ v. 97. C. A. le facevan
- ↑ v. 105. C. M. Ritornando
- ↑ v. 111. C. A. più va remoto;
- ↑ v. 112. C.A. io vidi calar
- ↑ v. 113. C. A. Dell’alber giù,
- ↑ v. 123. C. A. sofferser