un odore di mammole, un odore
di giacinti e di rose ne trabocca;
è un nettare, un’ambrosia, e di fragranza
tutta riempie ogni capace stanza.
Questo, nei gai convivi, ai nostri cari
daremo, e il Pepareto agli avversari.
Ed ora il tesoro incomincia davvero ad essere impoverito. Cioè no. Vi brillano d’incomparabile luce molte
perle sgranate di Aristofane. Ma la figura di questo poeta
non dobbiamo ricostruirla faticosamente su miseri frammenti: essa ci balza incontro piena di colore e di vita
dalle undici sue commedie conservate incolumi alla nostra
ammirazione.
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E qui vorrei, non già mettere in luce i pregi di questo
« impertinente beniamino delle Grazie », ma rilevare la
sua modernità; vorrei, se potessi, togliere al lettore qualsiasi paurosa prevenzione. Antiquato, Aristofane? Lontano da noi? Potrebbe sentir così solo uno spirito imbevuto di rancidità libresca. Cambiate il nome a quel Cleone,
a quel Socrate, ad Agatone, a Cinesia, a Clistene, ai
mille scimmiotti ghignanti nella gran selva dell’opera aristofanesca, e vi sembrerà che il divino calvo abbia scritto
ora, e alluda a fatti e a persone che ci vediamo d attorno.
E attuale parrà la sua opera sempre, finché vi saranno
demagoghi impudenti, stolti guerrafondai, dilapidatori del
pubblico erario, filosofi acchiappanuvole, scienziati cerretani, poeti asini e presuntuosi, finché la chiacchiera trion