Vai al contenuto

Pagina:Commedie di Aristofane (Romagnoli) I.djvu/176

Da Wikisource.

GLI ACARNESI 65


per quelle corone, sul sommo ciascuno sedea delle natiche.
E tanto chi «lucida» Atene chiamasse v’aveva gabbati, che
con quell’affibbiarvi una lode che onore farebbe ad alici,
aveva ciò ch’egli volesse. Codesti fúr suoi benefici.
E poi con che razza di democrazia venisse tenuto
il popolo nelle città v’ha provato. Recando il tributo,
verran’ gli alleati bramosi or di scorgere l’ottimo vate
che a quelli d’Atene gran verità, senza temere, ha cantate.
Per questo ardimento, volò la sua fama già tanto lontana,
che sino il Gran Re, trattenendosi con l’ambasciata spartana,
da prima richiese del mar chi ne l’Eliade avesse l’impero,
e poscia del nostro poeta, su chi si scagliasse piú fiero.
Ché molto migliori sarebbero, ei disse, quegli uomini, e molto
piú saldi alla pugna, che a un tal consigliere porgessero ascolto.
Perciò gli Spartani propongon la pace, vi chiedono Egina!
Non è che gl’importi dell’isola! Vogliono fare rapina
d’un tanto poeta! Ma non ve lo fate scappar! Ché il buon dritto
porrà su le scene, ché, assai buone cose per vostro profitto
dicendo, vuol farvi felici: non mica con l’adulazione,
e le marachelle, promettendo lucri, facendo il briccone,
e dandovi incenso; ma sempre insegnando le cose piú buone.


Stretta
Ed or Cleone tutte le sue mene,
tutti gl’inganni suoi provi su me;
ché la Giustizia alleata ed il Bene
al fianco mio combatteranno; né
avrò in Atene, come lui, lo smacco
di passar da cinedo e da vigliacco.