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LXXVI PREFAZIONE


l’educazione a sofistici o effeminati corruttori; la cosa
pubblica — il poeta insiste su questo punto (100-121) —
in mano a ragazzi. Deh, supplicava il Coro (100):
Deh, Milziade, Pende, o voi grandi,
non lasciate il governo a quegl’impuri
ragazzi, ch’anno il genio militare
nelle calcagna!
No, sciamava, non più contenendo lo sdegno, Milziade, con parole che hanno nel testo il mordente dell’acciaro (90):
No, per la mia pugna di Maratona,
niuno s’allegrerà che il cuor mio crucci!
Questo, secondo ogni probabilità, lo svolgimento della
prima parte della commedia. Il Coro faceva poi nella
parabasi la descrizione dell’antico riposato e bello viver
di cittadini. Ecco quanto ce ne rimane (117):
Quante cose avrei da dire! Ma la gola mi si serra,
tanto duolo il cor m’opprime, s’io contemplo la mia
terra.
Oh, le cose ai tempi nostri, di noi vecchi, non fur tali;
ma in città, prima di tutto, avevamo i generali,
di gran case, di gran censo, di gran nome, cui rispetto
avevam si come ai Numi: e Numi erano in effetto.
Onde in pace vivevamo. Or se muovesi a battaglia,
chi ne guidi andiamo a scegliere tra l’empissima canaglia.