Pagina:Commedie di Aristofane (Romagnoli) II.djvu/280

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I CALABRONI 277

NOTE 277 esegesi: ma comprendo che non potrà soddisfare tutti. I! brano rimane sempre abbastanza oscuro. Pag. I 13, v. 12. - Pare si tratti di sacerdoti incaricati di pregustare le carni destinate al banchetto comune nelle feste delle Apaturie. Pag. 115, v. 8. - Per un Attico vero era un punto d’onore non tirarsi indietro dinanzi a una faccenda giudiziaria. Pag. 116, v. 4. - Dodici mine, dice il testo: e ogni mina valeva su per giù 97 delle nostre lire. Pag. 119, v. 3. - Nel testo lo scherzo è ancora sulla parola £àrdopos. Pag. 120, v. 9. - Càrcino, poeta tragico sovente beffeggiato da Aristofane. Qui si allude certamente a qualche sua tragedia in cui si udivano i lagni di alcun Nume. Pag. 120, v. 11.- Questi e i versi seguenti son parodia, molto probabilmente, di qualche luogo di Càrcino. 11 Tlepolemo, che Lesina ricorda più sotto, ha fatto pensare si tratti del Licimnio di Senocle, figlio di Càrcino. Licimnio, fratello di Alcmena, fu ucciso da Tlepolemo, figlio di sua sorella. Che non tutte le parole pronunciate da Lesina corrispondano al mito, non importa nulla: Benmiguardo, come tutti gli eroi aristofaneschi, modifica i versi citati per aggiustarli al caso presente. Pag. 122, v. 2. - Adombro il testo. Benmiguardo dice: guidando corsieri caddi; e Lesina risponde; e perchè cianci come fossi caduto dall’asino? Asino era anche il nome d’ un vaso speciale da contenervino: onde cader dall’asino pare significasse esser briaco (Nencini, Studi italiani di filologia classica, 1893, 373 sg.), Pag. 129, v. 12. - Un canto perduto di Simonide narrava d’una tosatura e d’un montone: non sappiamo se vero montone o uomo di tal nome. — Nei Banchettatoti d’Aristofane un padre diceva a un figlio Framm. 223): « Prendi la lira, e cantami uno scolio — d’Alceo, d’Anacreonte!» — E il figlio, probabilmente, rispondeva picche, come qui Tirchippide. Pag. 129, v. 16. - «Le cicale — dice Socrate nel Fedro platonico (259 c) — per cantare trascurano il mangiare e il bere; dalle Muse han ricevuto questo dono, di poter fare a meno di qualsiasi nutrimento; e così, senza cibo nè bevanda, cantano sinché muoiono ». Pag. 130, v. 2. - Nei simposi ogni invitato cantava tenendo un ramoscello di mirto, che poi passava a chi doveva cantare dopo di lui