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et gabbioni pieni di terra fortificarono. Entrati dunque dentro i soldati, tutto quello ch'era stato abbandonato, predarono. Et erano d'animo di dare uno assalto generale a tutta la città, come quelli, che havevano speranza d'occupare con non maggiore sforzo il restante. Ma il Marchese di Pescara Capitano della fanteria, o perché egli havesse invidia alla gloria del Signor Prospero, sotto il cui governo si faceva l'impresa, o perché temesse Monsig. di Lautrech, il quale era co Svizzeri propinquo, et specialmente se i soldati s'occupasseno in saccheggiare la terra, affirmava che la città essendo di buona guardia, di mura di Bastioni fortificata, non si poteva per forza pigliare: et perciò non voleva fare pruova della fanteria in quella cosa, della quale, essendo tanto propinquo il nimico, non sperava la vittoria. La qual cosa sopra tutti dispiaceva al Marchese di Mantova: il quale sì come egli honoratamente faceva i primi dirozzamenti della guerra, così ancora era grandemente di laude desideroso. Et si doleva forte nello animo, che li fusse quasi tolta di mano gran parte della vittoria, la quale nel disfar quella guardia di Parma consisteva. Et perciò haveva caro che per opera di Girolamo Moroni Oratore di Francesco Sforza disegnato Duca di Milano, il consiglio del Marchese di Pescara fusse riprovato, et che gli altri Capitani dello essercito fusseno a combattere la terra confortati. Ma non facendo profitto alcuno, perché il Marchese affermava che la città non si poteva sforzare, fu l'essercito al fiume Lenza ritirato: dove tanto dimorarono, che dal Papa tornarono lettere et nuntii, i quali referirono quello ch'egli voleva, che nella guerra si facesse. Erano già molti venuti in paura, ch'egli non domandasse che risoluto l'essercito si mettesseno guardie in Modena, Reggio, et Bologna, et egli in questo mezzo non ricusasse la tregua et la pace ancora, che dal Re gli era offerta, affermando molti ch'egli contra sua voglia haveva questa