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su maometto xi

per patto a non aver più rapporti con i Benou-Hachem, che per legami di sangue erano del partito di Maometto; infine, costretto egli stesso di lasciare la sua patria, passò tre anni in una gola di montagna con i suoi seguaci più zelanti; di là si recò alla città di Taief per cercarvi degli alleati contro la Mecca, ma fu accolto con derisioni ed insulti, e quindi fece nuovamente ritorno alla Mecca, ove trovò gl’idolatri più che mai ostili alla nuova fede; dopo altri tentativi inutili presso varie tribù Arabe riunite alla Mecca in occasione del pellegrinaggio, dovè abbandonare questa città, e passò a Jatrib, città dell’Hedjaz chiamata d’allora in poi Medina (Medinet en’Nabi, città del profeta) dove lo chiamavano già molti amici della sua causa; questa partenza dalla Mecca, operata con inganno per evitare una morte certa, fu chiamata in seguito egira (hidjret, che significa fuga) e questa epoca fissò il principio dell’era maomettana. Maometto si vide fin d’allora alla testa dei Mohadjer (emigrati) sortiti dalla Mecca, e degli Ansar (ausiliarj) cittadini di Jatrib venuti dalla Mecca per dargli ajuto; sviluppando sempre la sua dottrina con aggiunte successive fatte ai versetti del Corano che già aveva rivelati, ovunque egli passava, fondava case di orazione, e s’occupava nel tempo istesso ad organizzare le sue forze. Nel secondo anno dell’egira ordinò che ogni musulmano si scegliesse un amico con cui si legasse indissolubilmente come fratello, e mentre questa istituzione stabiliva vincoli stretti per vieppiù consolidare il nuovo culto, varie altre istituzioni nella stessa epoca tendevano a separare esteriormente i musulmani dalle popolazioni circonvicine. Un avvenimento importante segnalò quest’anno: sapendo Maometto che una carovana di Coreiciti, forte di 950 uomini, si avvicinava a Medina, sortì dalla città, attaccò il nemico (il 1° marzo 624) e lo battè completamente; questo primo vantaggio ottenuto contro gl’idolatri non era certamente capace di scoraggirli, molto meno di annientarli, ma ispirò ai musulmani la fiducia nelle proprie forze, e fece conoscere che Maometto non era un semplice apostolo, ma anche un generale. Se si riflette che dopo 12 anni di predicazione, Maometto in questo primo conflitto non potè opporre al nemico che due cavalieri e 311 fanti, si comprenderà quanti ostacoli si erano frapposti alla propagazione della nuova dottrina, e di quale importanza fosse il menomo successo.

La vittoria riportata fu di un risultato decisivo e fecondo, avendo posto Maometto l’anno seguente alla testa di 1000 uomini, di cui 700 si batterono contro 3000 Coreiciti; questa battaglia seguì a Ohad, e sebbene in principio tutta a vantaggio di Maometto, poco mancò alla fine di perderlo intieramente; i musulmani eccitati da un’avidità cieca si gettarono sul bottino appena ebbero i primi successi, ed il disordine fece mancar loro la vittoria, compromettendo la vita del loro capo che fu ferito. Le spedizioni degli anni seguenti, di Radji, del pozzo di Mouna, e contro la tribù potente di Benou Mostalak, condotte tutte tre con successo, ripararono le perdite avute. Nel sesto anno dell’ egira Maometto conchiuse cogl’idolatri una sospensione per dieci anni, benchè questo passo non piacque ai più zelanti che non ammettevano tregua, ma Maometto profittò di questo armistizio per andare ad assediare la tribù ebrea di Khaibar, e la presa di questa piazza, difesa con ostinazione, fece cadere nelle di lui mani un gran numero di prigionieri, e molti altri paesi vicini, fra i quali Fadak che divenne proprietà della sua famiglia. Rassicurato dalle ultime vittorie sull’avvenire della di lui missione in Arabia, giudicò a proposito d’istruirne i principi dei paesi vicini, e mandò dei messaggi al re di Persia, all’Imperatore Romano, al re di Abissinia, e ad alcuni altri principi cristiani, o idolatri, esortandoli tutti ad abbracciare l’islamismo; quantunque simile appello non fosse bene accolto, e non avesse avuto alcun risultato per