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128 così parlò zarathustra - parte seconda

L'indovino

«E io vidi una grande tristezza discendere sugli uomini. I migliori si sentirono stanchi della loro opera.

Una dottrina fu proclamata, e una nuova fede con essa: «Tutto è vano, tutto è uguale, tutto fu!».

E da tutte le colline echeggiò il grido: * Tutto è vano, tutto è uguale, tutto fu!».

Noi abbiamo, è vero, raccolto: ma perchè le nostre frutta marcirono e si macchiarono di chiazze brune? Che cosa cadde giù dalla luna malvagia nell’ultima notte?

Fu vano ogni lavoro, in veleno si mutò il nostro vino, il malocchio arse i nostri campi e fece aridi i nostri cori.

Noi tutti inaridimmo: se il fuoco piomba su noi, ci trasmutiamo in cenere: — sì, noi abbiamo stancato persino il fuoco.

Tutte le fonti per noi si estenuarono: anche il mare si ritrasse.

Ogni fondamento è scosso, ma la profondità non vuole ingoiarci!

«Ah, dov’è ancora un mare, in cui ci si possa annegare?». Così suona il nostro lamento — sopra le morte paludi.

In verità, noi siamo troppo stanchi persin per la morte; ora siam desti e continuiamo a vivere nelle tombe!».

Così Zarathustra udì predicare un indovino: e la sua predizione gli toccò il cuore e lo cangiò! Egli vagava mesto e stanco: e divenne uguale a coloro cui l’indovino aveva accennato.

«Per verità», disse egli ai suoi discepoli, «in breve scenderà su noi il lungo crepuscolo. Ahimè, come potrò portare vivida al di là la mia luce!

Purchè non la estingua tanta tristezza! Perchè essa dev’essere luce a mondi più lontani e rischiarare più remote notti!».

In tal modo afflitto nel cuore, Zarathustra errava intorno; e per tre giorni digiunò, non ebbe riposo, e rimase muto. Finalmente avvenne ch’egli cadesse in un profondo sonno; ma i suoi discepoli sedettero intorno a lui nelle lunghe veglie notturne