Pagina:Così parlò Zarathustra (1915, Fratelli Bocca Editori).djvu/146

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il viandante 147


Ah, quel mare nero e triste che si distende dinanzi al mio sguardo! Questa uniforme malinconia notturna! Ah, sorte e mare! Ora sono costretto a discendere verso di voi!

Eccomi innanzi al più alto de’ miei monti e al più largo dei miei pellegrinaggi: io devo discendere più in fondo di quanto in alto sinora non sia asceso.

Più in fondo al dolore: sin dentro ai suoi flutti più neri! Così vuole la mia sorte.

Ebbene! Io sono pronto. Donde sorsero i più alti monti? mi chiesi un giorno. E appresi poi che sorsero dal mare.

Di ciò fanno fede le loro roccie e le pareti delle lor vette. Dall’imo della profondità ciò che più è eccelso deve sorgere alla sua altezza».

Così parlò Zarathustra su la vetta del monte, dove più fredda era l’aria: ma quando fu giunto presso al mare e si trovò solo, in mezzo agli scogli, si sentì oltremodo stanco del cammino e l’assalì il più profondo dei desideri sino allora provati.

«Ora tutto dorme ancora» disse: «anche il mare dorme. Pieno di sonno e come uno straniero il suo occhio mi guarda.

Pure caldo è il suo respiro: io lo sento. Ed io sento anche ch’esso sogna. Esso si contorce sognando su’ suoi duri cuscini.

Ascolta, ascolta! Come è agitato da cattivi ricordi! O forse da cattivi presentimenti!

Ah, io sono triste con te, o tetro mostro, e sono triste meco stesso per causa di te.

Ah, perchè la mia mano non possiede forza bastante! Ben volentieri, credilo, io ti libererei dai cattivi sogni!».

E così parlando Zarathustra rideva amaramente e mestamente di sè stesso. «E come, Zarathustra! disse, vorresti tu forse confortar il mare col tuo canto?

Ah, pazzo fanciullo che sei, Zarathustra, traboccante di fiducia! Ma così tu fosti sempre; tu hai sempre avvicinato con dimestichezza tutto ciò ch’era terribile.