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166 | così parlò zarathustra — parte terza |
Un umile letto mi riscalda più d’un letto sontuoso, giacchè io sono geloso della mia povertà.
E nel verno esso m’è più fedele che mai. Con una maligna opera io inizio la mia giornata, mi faccio beffe dell’inverno con un bagno freddo: e ne brontola il mio austero amico di casa.
Anche amo fargli il solletico con una candeletta di cera: per costringerlo a lasciar uscire il cielo fuori della grigia alba.
Giacchè io sono più sopra tutto maligno verso il mattino; nell’ora che il secchio stride al pozzo e i cavalli nitriscono per le grigie strade.
Attendo allora con impazienza che mi si schiuda il cielo chiaro, il cielo invernale della candida barba, il vecchio dai nivei capelli, — il cielo invernale, il taciturno, che talora chiude in sè anche il suo sole!
Forse da lui ho imparato il lungo e glorioso silenzio? O egli l’apprese da me? O forse l’inventammo insieme?
L’origine di tutte le cose buone è centuplice, — balzano, esse, capricciose con giocondo impeto nella vita; come mai potrebbero far ciò una volta sola?
Una buona e folle cosa è anche il lungo silenzio; simile a un cielo invernale il mio volto è severo e la calma è ne’ miei occhi.
Dissimulare il proprio sole e la propria volontà inflessibile come il sole! bene ho appreso quest’arte e questa malizia dell’inverno!
La più cara delle mie malizie e delle mie arti è questa: che il mio silenzio apprese a non tradirsi mediante il silenzio.
Con un tintinnio di parole e di dadi io vinco d’astuzia coloro che attendono solenni: a tutti questi vigilatoli austeri devono essere ignoti il mio volere e il mio intento.
Perchè nessuno possa vedere nel mio intimo e nella mia ultima volontà, io inventai il lungo glorioso silenzio.
Trovai più d’un prudente il quale velava il suo volto e intorbidava la sua acqua, affinchè nessuno potesse vedervi attraverso e per entro.
Ma proprio a lui vennero i più scaltri fra i diffidenti, gli «schiacciatoli di noci»: e proprio nelle sue acque pescarono 11 pesce che con maggior cura teneva celato!