Pagina:Così parlò Zarathustra (1915, Fratelli Bocca Editori).djvu/306

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il segno 307

La sua gioja è più profonda
     de la pena. L’ora mesta
     cede il luogo alla gioconda.
     Quella dice: «Passa»; questa
     dice: «T’arresta».

Vuol per sè l’ora gioconda
     la profonda — eternità.




Il segno.

Il mattino di poi, Zarathustra balzò dal suo giaciglio; si cinse le reni, e uscì dalla caverna, ardente e forte, come il sole mattutino che sorgeva dai monti ancora avvolti nelle tenebre.

«O grande astro» — disse — (come già un’altra volta aveva detto), «o profondo occhio di beatitudine, a che ti gioverebbe tutta la tua letizia, se tu non sapessi a chi risplendere?

E se gli esseri rimanessero nelle loro stanze, quando tu sei già desto e prodighi i doni e li distribuisci, quant’ira non ne avrebbe la tua fierezza?

Io voglio accingermi al mio lavoro — alla mia giornata; ma essi non comprendono gli indizi del mio mattino; e il mio passo non è per essi il grido del risveglio.

Dormono ancora nella mia caverna: il loro sogno ancor si diletta delle mie ebre canzoni. L’orecchio, che sta in ascolto di me, l’orecchio obbediente — non è parte delle loro membra».

Questo disse Zarathustra nel suo cuore, mentre il sole sorgeva; poi il suo sguardo si volse interrogando verso l’alto, giacchè si udiva l’acuto grido dell’aquila. «Orbene», gridò Zarathustra verso l’alto, «così mi piace, e così si conviene a me. I miei animali son desti, perchè io son desto.

La mia aquila è desta e con me rende omaggio al sole. Con i suoi artigli essa cerca di afferrare la nuova luce. Voi siete gli animali ch’io prediligo; voi soli io amo.