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100 così parlò zarathustra - parte seconda

Il canto notturno.

«È la notte: ora parlano più forte tutte le fonti zampillanti. E anche l’anima mia è un tale zampillo.

È la notte: ora soltanto si destano le canzoni degli innamorati. E anche l’anima mia è una canzone d’innamorato.

Sento in me non so che inappagato, inappagabile, che anela di farsi sentire. È in me una brama d’amore, che parla il linguaggio dell’amore.

Io sono luce: ah se potessi esser la notte! Ma la mia solitudine deriva da ciò, che io sono circonfuso di luce.

Ah se potessi esser oscuro e simile alla notte! Come vorrei succhiar alle mammelle della luce!

E vorrei benedire anche voi, o piccole stelle scintillanti, lucciole sublimi! — e sentirmi beato dei doni di luce che prodigate.

Ma io vivo della mia propria luce, consumo in me stesso le fiamme che da me erompono.

Io non conosco la felicità di colui che riceve; e più volte sognai che nel rubare fosse maggior felicità che nel ricevere.

La mia povertà procede da questo, che la mia mano non mai si stanca di donare; è questo il mio struggimento: veder occhi che attendono e notti illuminate dal desiderio.

Oh la sventura di tutti quelli che donano! Oh l’oscuramento del mio sole! Oh la cupidigia del desiderare! Oh la voracità insaziabile nella sazietà!

Essi prendono da me; ma tocco io con ciò la loro anima? C’è un abisso tra il dare e il ricevere; e il più angusto degli abissi è il più difficile a varcare.

Affamata è la mia bellezza! Vorrei recar dolore a coloro cui risplendo e spogliare i miei beneficati: — tanta è in me la fame della malvagità.

Ritirare la mano, quando già ad essa un’altra mano si tende; incerta al pari d’una cascata che esista anche nel precipitare — a questo modo io sono affamato di perversità.