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108 libro primo

il regno precedente non impedì nè le munificenze stravaganti, ne le liberalità vergognose. Gli scandoli si moltiplicarono: la corruzione s’insinuava in ogni parte. La magistratura, le dignità ecclesiastiche servivano a ricompensare la bassezza o l’infamia. In questo generale scadimento delle cose pubbliche, l’alterazione delle monete, cui lo stesso Governo proteggeva sfacciatamente, venne ad aggravare l’universal miseria.

Appena morto il padre, don Enrico avea confinata la sua sciagurata vedova co’ due figliuoli, Isabella ed Alonzo, nel monastero di Arevallo, quel desso ove Pietro il Crudele aveva fatto rinchiudere Bianca di Borbone, la dimane delle sue nozze.

Isabella aveva allora quattro anni; suo fratello era tuttavia in culla. Dimenticati in quella solitudine, e abbandonati all’isolamento, que’ miseri sentirono amaramente i morsi dell’indigenza. La tristezza della vedova del re crescendo nel suo miserabile stato, rendette cupo il suo carattere, e indebolì la sua ragione: da quel punto, divisa fra la madre e il fratello, entrambi bisognosi delle sue cure, Isabella, nell’età in cui gli altri fanciulli, felici di non avere a preveder nulla, e sentendo che un amor tutelare veglia su loro, non conoscono che i giuochi, le risa, le carezze. Isabella, dice, comprese che aveva da adempiere grandi doveri. Le cure utili e l’uso precoce della riflessione affrettaronle la maturità del giudizio: vide il lato fragile e vano delle cose, e conobbe il nulla e l’instabilità delle grandezze umane: sua madre, privata del diadema e poscia della ragione, dopo ricevuti gli omaggi de’ popoli, erale una lezione eloquente. Crescendo cogli anni, la giovane Infante riconobbe che non poteva mettere realmente la sua fidanza che in Dio; ed a premio della sua confidenza conseguì da Dio un dono superiore alle grandezze reali, lo spirito di sapienza che doveva esserle salvaguardia in mezzo ad un mare di pericoli, in cui avrebbe naufragato qualunque altra donna meno sublime.

E così nel silenzio, nell’oscurità e nella nudità della sua prigione di Arevallo, la pietà metteva nell’anima d’Isabella feconde radici. La religione era il suo solo aiuto, ed anco la sua sola istruzione; perocchè si vede che in capo ad alcuni anni, l’ignoranza in cui il Re lasciava l’Infante e suo fratello, gli avevano