Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/301

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capitolo undecimo 293

sitivamente che la scienza, i mappamondi, le matematiche gli erano state di ben picciolo aiuto nell’opera sua. E questo si rileva da ogni fatto.

Uno de’ nostri vecchi viaggiatori francesi, che aveva avuto occasione di parlare con marinai che avevano fatto parte delle spedizioni di Colombo, Thevet, dice che «l’ammiraglio non era molto sperto nelle cose della marineria.» Nella sua Cosmografia, pubblicata a Milano nel 1556, Geronimo Girava Terracones giudicava «Cristoforo Colombo di Genova, grande uom di mare e cosmografo mediocre:» Humboldt dichiara «Colombo poco familiare colle matematiche,» lo accusa di «false osservazioni fatte in vicinanza delle Azzorre,» parla del suo «diffetto assoluto di cognizioni in istoria naturale.» Un membro dell’accademia imperiale delle scienze trova «Aristotile molto più avanti in geografia di Cristoforo Colombo,» e stupisce dell’ignoranza di quest’Uomo in materia di cosmografia.

Non si può, dunque, attribuire alla superiorità scientifica di Colombo l’opera della sua scoperta. Inoltre, al suo tempo, diversi uomini di mare pretesero di essere più abili di lui e furono posti più alto di lui dalla opinione. Poichè non si deve riferire al genio di Colombo il merito della sua opera, a chi dunque lo si attribuirà?

Noi lo diremo schiettamente.

La superiorità di Colombo, ciò che distingue il suo genio, ciò che forma la sua grandezza, è la sua fede.

Evidentemente la fede non gli avrebbe infusa la scienza nautica, frutto della pratica e dell’osservazione: ma la sua fede avendo conseguita grazia appo Dio, egli fece ciò che gli altri non avrebbero osato fare: egli giustificò anticipatamente col suo esempio queste memorabili parole dell’illustre Donoso Cortes: «L’uomo abituato a conversare con Dio, e ad esercitarsi nelle contemplazioni divine, in pari circostanze supera gli altri o per l’intelligenza e la forza della sua ragione, o per la sicurezza del suo giudizio, o per la penetrazione e la finezza del suo spirito; ma sopra tutto io non so di alcun di questi, che, a circostanze pari, non superi ogni altro per quel senso pratico savio che si chiama buon senso.»