Pagina:Critica Moderna - Trezza.djvu/38

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28 capitolo primo

viene codesto impulso dinamico? Non è mestieri d’immaginarvi una forza novella che si metta, non si sa come ne d’onde, nell’organismo stesso. La scienza non conosce una forza di fuori dagli organi; il vocabolo di forza non esprime che uno stato diverso della materia; un gruppo di fenomeni atteggiati in un modo diverso da un altro, ci pare l’effetto d’una virtù trascendente che sopravvenga di subito a cangiarne i moti, ma è la materia stessa che si sposta e si dispone in uno stato più alto. Ciò non si nega, ne fa d’uopo ostinarsi contro una delle scoperte scientifiche meglio sicure. Fin qui s’è troppo ristretto il dominio

    move dappertutto per il gran mare dell’essere; ma quanto son diversi i fenomeni di quel moto secondo la evoluzione successiva della vita! C’è il moto degli atomi in una nebulosa nascente, o in una cellula, o nel cervello d’un idiota, o nel cervello di un genio; ma chi dirà mai che quel moto sia lo stesso? Se da quegli atomi ricircolanti nel pellegrinaggio immenso del tempo non si fossero dissigillate attività nuove nel moto, come potrebbe comprendersi da una parte l’identità della causa e dall’altra la smisurata diversità dell’effetto? Si moltiplichi un moto comunque si voglia, non ci potrà dare quello che non ha, cioè la vita, se la vita non fosse concorporata con lui. Il moltiplicarsi dei moti in gruppi più vasti non è causa ma effetto; il moto si fa più complesso, perchè disserra le attività ideali che possedeva eternamente, le quali non appariscono che in certe condizioni del moto. Il filosofo dunque non dee convertire con troppo d’impazienza i fatti della vita in fatti soltanto meccanici, ma investigare se, pur nei gruppi meccanici, risieda una vita latente che si manifesti grado per grado, e dai termini più bassi dove nei pensiero predomina il moto, ascenda poco a poco alle più alte sommità dove nel moto predomina il pensiero.