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ribelle distacco da ogni tradizione, la più violenta negazione del passato, deve pur muovere dal passato, per sovvertirlo e sconvolgerlo: e quando si placa e, vorrei dire, solidifica, quale fu il passato che dovè abbattere, tale è la struttura che conserva. I canti in cui una nazione vittoriosa s’esalta ricordano sempre, con le dure prove felicemente vinte, il nemico che si dovette prostrare.

La conclusione pare, quindi, che il più violento impeto rivoluzionario sia pure una continuazione, per quanto singolare, di ciò che sommuove e sovverte; così come il più lento colare di civiltà apparentemente immobili è pure un continuo, impercettibile mutarsi, che dopo anni o dopo secoli si scorge.

Se è così, la critica è così poco sopprimibile, che essa è intima al perdurare stesso della tradizione; e la tradizione, a sua volta, è così poco sopprimibile, che perfino chi non vuol che distruggerla, deve studiarla e prender contatto con essa, per poterla sommuovere.

Questa risposta alla prima domanda — se, dei due elementi, uno sia sopprimibile — spiana grandemente la via all’esame della seconda domanda: se, cioè, tra i due elementi il rapporto sia di coesistenza.

Pare, a tutta prima, di sì, perchè, nei nostri Stati moderni, le differenziazioni tra partiti conservatori e partiti radicali o rivoluzionari si sviluppa nell’ambito stesso di ciascuno Stato, sicchè sembra che tra obbedienza allo Stato e critica allo Stato non possa esserci altro rapporto che una coesistenza, in cui le forze antagoniste incessantemente si misurino, equilibrandosi o soverchiandosi. Ma, a parte quel che s’è già avvertito intorno alle