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Socrate. E che è questo danno? e qual parte danneggia di colui che disubbidisce?

Critone. È chiaro: il danneggiato è il corpo; perchè è desso che patisce1.

Socrate. Tu di’ bene. E così delle altre cose, per non le stare ad annoverar tutte quante. E in fatto di giusto e d’iniquo, di brutto e bello, di buono e cattivo, che è la cosa sopra la quale prendiamo consiglio, ci conviene seguitare la opinione della gente forse, ovvero di quello solo che se ne intende, se mai ci fosse, e più di quello aver paura e vergogna, che di tutti



  1. Platone riproduce il modo d’argomentare caro a Socrate, per via di paragoni. Socrate vuol dimostrare che su la questione, se ci si possa sottrarre alle leggi patrie quand’esse ci colpiscano in modo che ci sembri ingiusto, si deve seguire il ragionamento dei savi (che dice: le leggi patrie non pèrdono il loro incondizionato diritto ad essere obbedite nemmeno quando siano applicate ingiustamente), e non l’opinione del volgo (che dice: se la legge è applicata ingiustamente, a una simile ingiustizia è pur lecito sottrarsi). Per mostrar questo, Socrate muove da un paragone: nel far ginnastica, a chi bisogna dar retta, al maestro di ginnastica o agli spettatori che non conoscono l’arte? e se si fa nella maniera che più tira applausi dal pubblico, ma che è biasimata dal maestro di ginnastica, il nostro corpo, sforzato o mal curato, soffre. Parimenti, se nelle nostre azioni seguiamo le opinioni della folla invece del giudizio dei savi, è il nostro spirito che soffre. Ora — Socrate prediligeva questi paragoni — la malattia dello spirito è l’ingiustizia. Se diamo retta agl’ignoranti e non ai savi, e ci macchiamo d’ingiustizia, il nostro spirito s’ammala, s’affievolisce, si degrada. Mentre la giustizia, e, in genere, la virtù, è la sanità, la prestanza, la potenza, validità, fecondità, dello spirito. — Questo concetto tipicamente socratico non fu mai abbandonato da Platone: torna nel pieno della teoria delle virtù, e ne è il coronamento e la conclusione, nel Libro V della Repubblica.