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cosa laida secondo tutt’i rispetti e malvagia?1. Lo diciamo noi questo, o no?
Critone. Lo diciamo.
Socrate. Dunque non s’ha a fare ingiustizia per nessun modo.
Critone. No.
Socrate. Nè chi ricevette ingiustizia, può, come crede la gente, renderla alla sua volta; da poi che ingiustizia non si può fare per nessun modo.
Critone. Par di no.
Socrate. Ed è giusto, secondochè dice la gente, render male per male, o no?
Critone. Non di sicuro.
Socrate. Perchè, il far male agli altri, niente non differisce dal fare ingiustizia.
Critone. Dici vero.
Socrate. Adunque non si dee rendere a nessuno ingiustizia per ingiustizia, male per male, qual ch’ella sia la ingiuria che abbia ricevuto.
Critone. No2.
- ↑ Se convenimmo che fare ingiustizia è cosa turpe, non potremo ora disconvenirne sol perchè, a rifiutarci di commetter ingiustizia, bisognerà morire.
- ↑ Di ammissione in ammissione, qui si giunge. Se non s’ha da far ingiustizia mai, non s’ha da fare nemmeno quando altri l’abbia fatta a noi; la violenza altrui, dunque, non rende lecita la nostra violenza, nemmeno per ritorsione; la reazione non è legittima; al male che altri ci fa non si risponde facendo male a nostra volta. È, come si vede, il precetto di Gesù, di offrire l’altra guancia a chi ci ha già percossi. Ed era concezione così nuova, e, nella sua sublimità, così paradossale, che Socrate domanda più volte a Critone: Ma ne convieni davvero?» Per conto suo, Socrate ne è convinto da lunghissimo tempo; anzi, a riflettere, tutta la sua vita poggia su tal convinzione. Ha sempre compreso che destava odio; ha sempre compreso che lo avrebbero assalito: e non s’è mai gettato a odiare, a combattere gli altri, poiché gli altri odiavano e combattevano lui; ed ha atteso, tranquillissimamente, la violenza ultima, che lo sopprimesse: ben conscio della sua immancabilità; e ben risoluto a non far nulla per stornarla dal suo capo: vittima, ma non contaminato anch’egli di violenza, nel mondo violento, dove non poteva salvarsi.
Questo atteggiamento di Socrate, che è poi il suo sereno eroismo, è illuminato da Platone specialmente nel Gorgia, in cui Socrate dice al suo sfrontato interlocutore, Callicle: «Non ripetere quello che hai detto tante volte, che il primo venuto mi farà morire, affinchè io non ti risponda: «egli malvagio me buono»; nè che mi spoglierà del poco che ho, perchè io non soggiunga: «quando m’avrà spogliato non gli servirà a nulla, ma come mi spogliò ingiustamente, così ingiustamente ne userà; e se ingiustamente, turpemente, e se turpemente, male». Anzi Socrate dice che si aspetta d’esser condannato a morire. Callicle osserva: «Ma ti pare, o Socrate, una bella cosa che un uomo si trovi nella tua condizione e nella impossibilità di aiutare sè stesso?» E Socrate: «Purchè gli rimanga una cosa, o Callicle, come tu hai ripetutamente consentito: l’avere aiutato sè stesso non dicendo nè operando mai cosa ingiusta nè verso gli uomini nè verso gli dèi. Abbiamo già convenuto essere questo il più valido aiuto che si possa dare a sè stessi. Dunque se mi si convincesse che io non posso prestare nè a me nè ad altri un simile aiuto, mi vergognerei di tal prova così in pubblico come fra poche persone, ed anche da solo a solo; e se dovessi morire per tale incapacità ne sarei desolato. Ma se dovessi morire per mancanza di retorica adulatrice, so che mi vedresti sopportare la morte in pace. Nessuno che non sia compiutamente stupido e vile teme la morte, ma teme la colpa, perchè arrivare agl’Inferi con l’anima carica di colpe; questo è l’estremo dei mali», (Trad. Zambaldi).